Si, questo è un altro blog sui fumetti. E come suggerisce il nome, indica una malattia: la dipendenza dai fumetti.

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giovedì 7 febbraio 2013

Pyongyang: la noia griffata


Non è solo Dario che si lancia in letture più altolocate e poi ne rimane deluso, è successo anche a me, io ho finito di leggere Pyongyang del canadese Guy Delisle, lo avevo preso in biblioteca , con il preciso intento di dirvi quanto mi era piaciuto, e vorrei tanto volervelo dire, così, tanto per darmi ogni tanto, un tono un pò più elevato, invece di essere sempre qui a sbraitare ed agitarmi manco fossi il Diavolo della Tazmania per via dei prezzi e della qualità di certe storie, ma se metti vi dico che mi è piaciuto, e voi filate anche a comprarvelo, come potrei più sostenere il vostro sgaurdo severo?
No, non ci sono proprio riuscito a farmelo piacere ‘sto PyongYang.
Il volume è un fumetto autobiografico, e racconta dell’esperienza fatta dall’animatore-disegnatore del Quebec nella capitale della Corea del Nord, uno degli ultimi baluardi dell’ideologia comunista, isolatosi dal resto del mondo nel dopoguerra.

Attraverso l’esperienza personale, ed un saltuario riferimento all’opera letteraria di Orwell, 1984, Delisle denuncia il regime che vige nello stato nord coreano evidenziandone, limiti, anacronismi e contraddizioni, ora con una tagliente satira ed ora con indigesta amarezza. 
Eppure nonostante il tema interessante, il racconto non coinvolge come vorrebbe o come dovrebbe, alla lunga scivola nella monotonia di una personalissima cronaca di una sgradita esperienza dell’autore con gli usi e costumi di un popolo suo malgrado, congelato in quella ideologia, che al contrario di quanto auspicava Marx nel suo Manifesto, è rimasta uno spettro incorporeo che si aggirava per l'europa.
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A giudicarlo dalla copertina sono sicuro che collocherete questo volume nella vostra libreria proprio lì, tra il Maus di Spiegelman e il Blankets di Thompson, ma questo solo perchè non lo avete ancora letto, solo perchè lo state sopravvalutando, lo state giudicando dalla copertina.
A fine lettura realizzerete che il reportage annoia, sembra quasi che l’autore coscientemente o meno, voglia condividere con i lettori pure il grigio e la monotonia dei due mesi del suo incarico.
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Una delle cose che proprio non mi sono piaciute è come Delisle, in alcuni passaggi sminuisce e ridicolizza i personaggi che incontra nella sua quotidianeità, (si scrive così o ho messo qualche vocale di troppo?), in Corea del Nord. Gli stranieri non possono assolutamente avere alcun tipo di rapporto con i locali, per questo proposito, sono costantemente “accompagnati” da una guida e da un traduttore in ogni loro spostamento: il fisiologico disagio è ben presto sostituito da una intolleranza che l’autore racconta disegnando tavole in cui,  accompagnandosi ad un suo collega sceneggiatore, sbeffeggia i comportamenti dei loro “carcerieri”, riducendoli ad agenti del regime, privandoli di quella umanità che probabilmente avrebbe reso questo volume un discretissimo gioiellino di letteratura illustrata. Riuscendo invece a far emergere soltanto un attrito insanabile che non mi aspettavo fosse il concetto base di un fumetto edito nella collana de  “I libri dell’Internazionale”.
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La cosa più irritante, se mi concedete il termine forse un pò troppo piccante, è il fatto che l’autore non perde si occasione , per denunciare il governo asiatico, evidenziarne gli sbagli, gli inganni, l’oppressione sul popolo, (giustamente) eppure “dimentica” (toh guarda che sbadato che è 'sto Guy) di approfondire la sua posizione in un paese così ostile e anti-democratico, dimentica cioè  di comunicarci di esser parte lui stesso di quei meccanismi di mercato tipicamente occidentali e capitalisti con i quali  si delocalizza la produzione delle merci, in quei paesi poveri per evitare eccessivi costi ed improponibili spese.
Io l'ho cercata una riflessione del genere in tutto il fumetto ma non c'è.
C'è solo quanto sono brutti questi comunisti.
"io e la mia azienda invece veniamo a lavorare qui, perchè qui gli intercalatori (che ovviamente ridicolizza) non costano un cazzo", questo baloon che avrebbe invece resa chiara tutta la situazione, manca, peccato Delisle. Riprova sarai più fortunato.

Chi ha letto “No Logo” di Naomi Klein sa di cosa sto parlando.
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Tuttavia a dispetto dei contenuti che a volte latitano, bisogna dire che Delisle è un bravo fumettista, la sua prosa è scorrevole ed è buona anche l'impostazione delle tavola che rende la lettura veloce.
Per i disegni invece la storia è diversa: lo stile eccessivamente minimalista dell’autore canadese, è di quelle cose tremendamente particolari, che: o si apprezzano, o si fan finta di apprezzare o stancano.
Molto soggettivamente ( par l'amor di Dio, magar c'è chi a chi è piaciuto 'sto polpettone) quindi dirò che nel mio caso Pyongyang ha stancato abbastanza presto, come detto, a parte qualche vero colpo di genio in qualche tavola, l’intero volume non riesce a decollare nè a rapire il lettore (me). Comunque per quel che concerne la grafica vi lascio giudicare allegandovi la solita sporta d’immagini.
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In buona sostanza, un volume evitabilissimo a mio parere, specie se vorrete usarlo per provocare le ire del comunista della comitiva, quell’inguaribile nostalgico che straparla di una situazione che non ha mai vissuto, (un pò, per par condicio, come succede con la gioventù hitleriana di oggi giorno, che sogna di una realtà che non hanno mai sperimentato sulla propria pelle, e che hanno dimenticato di farsi raccontare dai nonni).
Nel caso che il vostro intento, arguti democratici, sia prettamente provocatorio vi consiglio di ricorrere a qualcosa di meno ricercato, credo infatti che sortireste un maggiore effetto imbarazzante ripiegando sul cinema: su film come il malinconico Goodbye Lenin o il bellissimo Le vite degli altri.
Baci ai pupi compagni o camerati… tanto è uguale. 

1 commento:

  1. Pensa che ci avevo pure fatto un pensierino, però vista la penuria di sghei e il fatto che in casa ho ancora una discreta scorta di cose da leggere ho passato. Meno male.

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