Si, questo è un altro blog sui fumetti. E come suggerisce il nome, indica una malattia: la dipendenza dai fumetti.

Benvenuti nell'ennesimo posto del web, saturo di dissertazioni e soliloqui, commenti e suggerimenti sulla nona arte.
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Fumettopenìa è dedicato a Fumettidicarta ed al suo papà Orlando, che dal 2009, non ha mai smesso di farmi credere che scrivessi bene! Anzi scusate, che scriverebbi bene. E se adesso migliorato, lo devo sicuramente ai suoi incessanti consigli.

venerdì 30 ottobre 2015

Beta i Robottoni made in Italy

Avessi modo di buttare giù delle chart, le ultime top appetibilità avrebbero in testa materiale dell'editoriale cosmo, con Gli Sterminatori e Beta.

Breve storia dell'odio verso i cosmonauti

E' sempre una gran rottura parlare della Editoriale Cosmo, in pratica recensire una pubblicazione cosmo, è un silenzioso richiamo che ti sottopone alle attenzioni di tutti quei megalomani puristi della domenica, che inveiscono contro la bonellizzazione del fumetto; hater addomesticati sui social  e sui forum che per quanto tu tenti di spiegare i motivi per cui la Cosmo non è assolutamente l'anticristo, non ti ascoltano, continuano a sbraitare di desaturazione coatta delle tavole, riduzione violenta dei disegni, con tanto di bava alla bocca come i cani rabidi, senza alcuna possibilità di replica, al punto che alla fine la risposta più idonea e sensata da dare è "ma fa un pò come 'zzo te pare e vattene a quel paese."

Probabilmente è per zittire certe critiche sterili che nacque la linea "Color" ma pensate che l'iniziativa abbia messo al riparo l'editore emiliano dalle solite feroci critiche?
Macchè, poveracci non solo hanno cominciato a pubblicare a colori, ma in sfregio all' avarizia, hanno fatto tutto in un formato più grosso del classico comic book, ma nulla il pecorone a comando italiano una volta che è partito per la tangente, non sente ragioni, da li a poco è arrivato un nuovo tormentone "La costina scricchiola!". Juan Solo per esempio, ma anche il primo tomo di Fabian Gray
Alla fine, i cosmonauti hanno ancora una volta diversificato il catalogo, cambiando tipografia, eliminando il "fastidioso" scricchiolio delle costine, sono tornati a bonellizzare, lasciando il colore, e lavorando sul numero delle  pagine per prezzare le pubblicazioni,  insomma di sforzi per piacere a destra e a manca ne sono stati fatti,  ma il pecorone a comando ormai con cosmo ha chiuso i ponti, per il pecorone medio, alla Cosmo o sono degli incompetenti, o dei semplici stampatori di materiale estero, ben poco conta che adesso producano persino una serie nuova, per quanto ahimè bruttina possa essere.
Per gli hater più agguerriti sono dei ladri, con dei prezzi troppo cari per il materiale proposto, Un esempio? Flash Gordon: Una rapina legalizzata.
Inutile far notare il coraggio di editare con tiratura da edicola opere d'arte come L'incal o Bouncer, per esempio, indubbiamente materiale ostico per il lettore medio italiano abituato a vedere rivoluzionario una pensione ed un cellulare, opere che ben altri accreditati editori, in passato si sono guardati bene dal far uscire in edicola, puntando sul solito bacino di 30enne a salire,compulsivo animale da fumetteria.
Il catalogo Cosmo? Puff, materiale scadente.
D'altronde chi si sognerebbe mai di definire capolavori, robaccia come Black Crows, Lo Sparviero, Durango, Snowpiercer o Winterworld?
Giusto un tristone intellettuale col braccino corto par mio.
Davvero, non c'è verso.
La cosa più esilarante è che questi puristi che si lamentano delle tavole ridotte (con allegata riduzione dei costi) sono gli stessi che si scapicollano in fumetteria a comprare senza battere ciglio altrettante pubblicazioni ridotte come Saga della Bao, contenti di pagarle un rene  e mezzo lobo epatico, tanto il fegato si rigenera.
Questi hater sono gli stessi intellettuali che ignorano per esempio la sottile differenza tra lo stampare ad alte tirature in Italia, su carta certificata PFC, piuttosto che stampare "altrettanto male", (riducenddo il formato), con una tiratura da fumetteria ed un prezzo esoso, affidandosi a tipografie cinesi, è il caso eclatante della Bao, per quel che concerne alcuni volumi della Lega degli straordinari gentlemen, e chissà cos'altro. Li seguo poco o niente i milanesi col cane sul logo.
La cosa che ormai diverte di questi puristi è che in sostanza ridurre e desaturare e pagare meno è un reato perseguibile dalla legge, ingrandire, colorare, cartonare e rapinare, è un omaggio alla nona arte.
Con Beta è stata la stessa cosa, brossurato formato bonellide di ben 224 pagine in bianco e nero, è diventato sulla bocca dei soliti: troppo caro (6,90€) e scomodo da leggere, peccato che la precedente edizione di Beta (coff...coff...coff...BAO) venisse il doppio per il prezzo, e fosse più piccola (spero almeno stampata in Italia).
Lasciando perderere gli hater - mai compreso il meccanismo infatuante che ti trasforma da lettore di fumetti a sostenitore amante di questa o quella casa editrice - dedichiamoci per il resto del pezzo a questo BETA di Vanzella e Genovese, lettura caldamente raccomandata, quale che sia la vostra indole di consumatore, cicala (Bao) o formica (Cosmo).
Io da buona formica lo leggerò in questa pessima edizione, pagandolo più o meno la metà di quanto lo avrei pagato se fossi inciampato nell'edizione Bao.
224 pagine divorate letteralmente e non solo per il nostalgico motivo che BETA è un chiaro omaggio all'opera di Go Nagai, il creatore di Mazinga Z , Grande Mazinga, Goldrake e Getter Robot. Quell'aspetto del fumetto va bene come strillone per attirare le attenzioni dei lettori, in realtà in Beta il citazionismo al fumetto nipponico è solo una parte della godibilità.
In Beta i Robot giganti non sono creati per tenere testa agli invasori alieni o altro, la sceneggiatura di Luca Vanzella relega i giganti meccanici al ruolo di arma finale, nel mondo di Beta, i robot sono le armi di distruzione di massa, l'escalation tecno-bellica di una guerra fredda rivista, in cui non mancano divertenti riferimenti come il primo ministro con la gobba, (presumibilmente il poco compianto Andreotti) o la strega di premier inglese, (presumibilmente la Tatcher).
C'è molto più di apocalittici duelli tra mostruose macchine tra grattacieli, Beta, vanta una appetibile caratterizzazione dei personaggi ed una trama molto più complessa di quello che può sembrare trasparire dalla copertina.


Il plot dei robottoni così in voga negli anni '70 è arricchito da smaliziate sfumature dei nostri tempi: era molto raro in Mazinga che Tetsuya Tsurugi si preoccupasse di questo o quello stabile prima di demolire a suon di missili centrali e grandi fulmini, l'ennesimo mostro inviato dal Generale Nero, era altrettanto raro che si contenesse nella lotta al fine di preservare il costoso gingillo, per  il concetto di morte, come componente delle storie, dobbiamo aspettare la serie di Getter Robot, ed il sacrificio del pilota Getter 3 Musashi Tomoe (1974).
E' solo poi nel 1980 ,con Trider G7, che gli autori prestano più attenzione al lato economico della guerra con i robottoni, l'adolescente Watta Takeo prima di lasciar partire i vari missili a testata protonica o missili nucelo-sintetici, attendeva il benestare del vecchio Umemaro Kakikoji, sempre attento ai conti della Takeo General Company per far quadrare le spese, e trasformare le missioni del Trider in successi economici per la compagnia.
Vanzella fa tesoro di questi spunti narrativi senza dimenticare di omaggiare quel mondo di cartoni animati e manga del nostro passato remoto, come non riconoscere il papà di Hiroshi di Jeeg nel Dottor Lorenzo Beta? O una via di mezzo tra Kenzo Kabuto e il dottor Inferno nel Professor Shima. Ci vuole una bella faccia tosta a non riconoscere nella bella Maxine il pilota del robot francese Marianne, l'avvenente June di Venus o anche Miwa Izuki di Jeeg.
Insomma senza spoilerare nulla della trama è il caso di dire che Beta come sceneggiatura è meglio del film Pacific Rim.
L'evolversi degli eventi già per altro incalzanti, più o meno dopo pagina 190, vi lasceranno così curiosi che non aspetterete altro che il secondo e conclusivo volume, previsto per gennaio 2016.
Sul versante grafico Genovese forse a volte è troppo sporco, specie nelle scene di lotta. Ma per il resto il suo è un autentico manga anni '70, dinamismo della tavola, totale assenza di una griglia, l'uso delle linee di velocità per esaltare i movimenti, massicio abuso delle onomatopee, tutte trovate visive riconducibili al fumetto nipponico.
Insomma senza dilungarsi ulteriolmente Beta è l'appuntamento immancabile di novembre.
Fidateve, restando in ambito cosmico, a parte Prophet, vi ho mai raccontato fregnacce?
Beta vale ogni centesimo dei suoi 6,90€ di copertina, nostalgico, intrigante e divertente.
Baci ai pupi.

lunedì 12 ottobre 2015

Il Rocketeer di Dave Stevens


Due parole su Dave Stevens
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Dave Stevens nasce nel 1955 in California, e nel suo curriculum figura di tutto: a 19 anni è l’assistente di R. Manning per le tavole domenicali di Tarzan, successivamente dopo il 1977, concentra i suoi sforzi sul mondo dell’animazione, disegnando gli storyboard per alcuni cartoni animati della Hannah & Barbera, tra cui l’adattamento della Justice League al piccolo schermo, in Italia noto come Super Amici.
Per Hollywood firma gli storyboard dell’Indiana Jones di Spielberg, I Predatori dell’Arca Perduta e il famosissimo videoclip di Micheal Jackson, Thriller.
Le sue prime incursioni nel campo dei comic book sono collaborazioni con alcune fanzine per le quali firma delle illustrazioni, molte delle quali arricchite, dalla presenza di soggetti femminili di innegabile fascino.

Lavorerà poi ancora con Manning per la sua strip su Star Wars, e per la Marvel per la quale inchiostrerà alcuni What if?, come il numero 11.

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– Piccola parentesi: Il numero 11 di What If?, scritto e disegnato dal Re, è veramente una storia assurda anche per un What if?, ipotizzava infatti un mondo in cui i raggi cosmici avessero trasformato nei Fantastici Quattro i primi uomini della Marvel Comics: Mr Fantastic era Stan Lee, la Torcia umana, Sol Brodsky, Vice Presidente alla Marvel Comics, Kirby nei panni della Cosa e Flo Steinberg, segretaria alla Marvel Comics nei panni della ragazza invisibile. (Peri più curiosi, in Italia, Star Magazine 14)

Nel 1981 la Pacific Comics, commissiona al giovane autore, 6-10 pagine per un comic book, l’editore non dà alcuna indicazione per il soggetto, nè alcun limite, Stevens ha carta bianca.
Un malcelato amore per la star degli anni ’50 Bettie Page e per il fumetto pulp degli anni ‘20, sono due degli ingredienti della serie a fumetti che sta prendendo forma nella sua testa, Stevens inoltre,voleva creare le avventure di un eroe con un razzo, con storie ambientante in un mondo in cui aereri e vecchie automobili fossero una sorta di costante scenografica, ecco il fertile terreno su cui germoglia Rocketeer, il characters che lancerà come un missile, lo stesso Stevens nell’olimpo degli autori dell’epoca, insieme a nomi come Steve Rude e Jamie Hernandez.
In una intervista fatta dal giornalista Thomas Martinelli e apparsa su Grandi Eroi n. 15 Comic Art Editore (Luglio 1987), il volume che ospita il primo arc di Rocketeer, con le origini del personaggio, Stevens si definisce un autore con ancora molto da imparare, confessa la sua passione per i classici dai quali cerca di carpire qualche segreto, autori come Eisner, Steranko, Kubert, Toth, Bennet, Manara e Pratt, ma quel che mi ha conquistato di Stevens è quello che si aspetta la gente riceva dai sui fumetti:

“Cerco di realizzare storie sollevanti, non mi piacciono troppo quelle tristi e deprimenti. Non ho un vero messaggio, mi basa che qualcuno compri il fumetto e si diverta. Sento di avere raggiunto il mio scopo quando rendo il lettore felice, e per adesso è sufficiente. Per ora mi basta solo fare del mio meglio con storie d’avventura e buoni personaggi sperando che alla gente piacciano.”

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E Rocketeer è piaciuto tantissimo al pubblico, fin dalla prima apparizione in appendice allo StarSlayers di Mike Grell (Pacific Comics), Un Inkpot Award come autore nel 1986, insieme ad artisti del calibro di Dave Gibbons, Moebius e i fratelli Hernandez.
Un Kirby Award nello stesso anno per la miglior Graphic Album, sotto etichetta Eclipse.
E leggendo il primo arc è difficile restare indifferenti al fascino di Rocketeer, ancor prima di scivolare nei noiosi tecnicismi da recensori spocchiosi, impossibile non spendere due parole sulla caratterizzazione dei personaggi: Cliff Seword è fin troppo umano, nei suoi comportamenti, è aviatore in un circo acrobatico e vuole ciò che vogliamo tutti, successo, una bella donna da amare e tanti soldi.
Queste sono le venali priorità che muovono Cliff nella primissima avventura di Rocketeer, un adrenalinico dramma, pieno di azione, passione, spie, complotti, sparatorie ed inseguimenti che mi ha tenuto legato al volume fino all’inevitabile ultima pagina. E sono certo terrebbe incollati alla poltrona anche voi.
Difficile non soffermarsi sulle tavole in cui compare la volubile fidanzata di Cliff, anche lei, così reale nella caratterizzazione, che sembra possa strappare la pagina e sedervisi in braccio sempre che possiate permettervelo.
apAmfubBetty è liberamente ispirata alla regina delle pin up degli anni ’50, Bettie Mae Page, un chiaro omaggio alla modella nata a Nashville nel 1923 che ha legato il suo nome all’ immaginario erotico di un paio di generazioni di americani.
Al contrario di Cliff, passionale, testardo ed impulsivo, Betty è più pratica, ama Cliff, ma non quanto ama se stessa, nell’ultimo capitolo della prima avventura di Rocketeer, mentre pondera di accettare l’invito del fotografo Marco, di vivere per un periodo in Europa, si definisce una donna fatale, mentre sembra osservi le sue stesse sensuali curve, languidamente adagiate sul letto di posa.
La scelta di ispirare la fisionomia di Bettie alla famosa modella degli anni ’50 rinnovò tra i lettori una curiosità sulla vita della stessa, ma miss Page non è l’unico characters di Stevens ad avere una controparte nel mondo reale, il meccanico Peewe si ispira al disegnatore amico Doug Wildey, mentre il fotografo di Bettie, Marco di Hollywood, è liberamente ispirato al fotografo Ken Marcus, il famoso fotografo che ha immortalato innumerevoli modelle seminude per i paginoni delle riviste Playboy e Penthouse Magazine. Il cast di supporto di spie crucche ed agenti governativi sembrano scappati dalle pagine dei fumetti di Eisner.
Rocketeer come già detto, è prima di tutto un grosso atto d’amore alle avventure pulp degli anni’20 e ’30. Bellissimo e nostalgico.

rocketeer2bLa tecnica narrativa su Rocketeer è qualcosa su cui probabilmente torneremo più volte nel corso dei nostri incontri, perché si inserisce in un contesto di produzione di fumetti ormai estinto, sacrificato in nome della decompressione narrativa della moderna industria dei comics.
Tranne alcuni, si è persa la capacità di raccontare storie in un certo modo.
Stevens nel 1980, durante il processo creativo di Rocketeer ha un unico paletto, l’esiguo numero di pagine con cui raccontare la sua storia.
6-10 pagine alla volta che come già accennato finiscono in appendice allo StarSlayers di Mike Grell (autore di una fantastica run su Green Arrow, che recentemente sta rivedendo la luce grazie alla Rw Lion), nelle quali è d’obbligo: raccontare una storia, coinvolgere il lettore e lasciarlo in attesa del numero successivo con un efficace cliffhanger.
Tutto questo, nonostante si reputi un dilettante, Stevens, lo fa benissimo, chiude ogni capitolo della prima miniserie con appetibilissimi colpi di scena, persino il finale aperto che fa da prologo all’avventura a New York. Come accennato, il passato professionale dell’autore è segnato da una prolifica collaborazione con Manning per le tavole domenicali di Tarzan, e si vede, la sua tecnica narrativa è figlia di quel tipo di editoria, la tavola è un percorso di passaggi obbligati, che guidano gli occhi del lettore, inquadratura dopo inquadratura, vignetta dopo vignetta, che siano rettangolari quadrate, tonde, o un puzzle di inediti poligoni, l’imperativo di Stevens è divertire, e diverte, la lettura è dinamica e coinvolgente, non c’è una griglia fissa, lo spazio è esiguo, ed ogni cm della tavola è utile anche gli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra, ogni prospettiva, ogni inquadratura che sia funzionale a raccontare in maniera limpida azioni ed emozioni è utilizzata con certosina abilità, ed il risultato è sotto gli occhi di tutti, sempre che abbiate tempo e curiosità per sperimentare questa emozione vintage.

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Esempio di composizione della tavola di Dave Stevens

In Italia il Rocketeer di Dave Stevens ha avuto almeno tre edizioni:
Grandi Eroi n. 15 Ed. Comic Art che raccoglie i primi 5 capitoli, in pratica le origini del personaggio. E’ il modo più economico per assaggiare il lavoro di Dave Stevens per vedere se rientra nei propri gusti.
Rocketeer – le avventure complete Ed. Salda Press che raccoglie tutto il materiale firmato da Dave Stevens, inclusa Avventura a New York. Il costo dovrebbe aggirarsi intorno ai 15€.
Le avventure complete di Rocketeer vol 1 e 2 ed. Salda Press un’edizione di lusso che raccoglie lo stesso materiale di Stevens, ma è arricchito da una apprezzabile quantita di contenuti extra, come sketch ed illustrazioni varie che fanno levitare il costo a 50€ complessivi.

Bene,direi che anche per oggi vi ho detto tutto, ah questo pezzo inaugura anche la collaborazione di fumettopenia con OverNewsMagazine
Baci ai pupi.

martedì 6 ottobre 2015

Alan Moore e la rivoluzione digitale.

Nelle settimane passate, abbiamo avuto modo di segnalare tramite il profilo twitter, l'arrivo sulla piattaforma apple, della nuova app Electricomics di Alan Moore famiglia, e del fine  ambizioso, di questo progetto di rivoluzionare ulteriormente il media fumetto.
All'indomani di una intervista rilasciata dal bardo per il sito inglese Wired.uk, sembra chiaro che secondo lo scrittore inglese, il progetto Electricomics, ha un potenziale ancora inespresso.

Era chiaro fin dai primi rumors che Moore e co. attraverso Electricomics, non avessero alcuna intenzione di accodarsi, alle altre iniziative di lettura digitale, e cavalcare semplicemente l' onda della moda dei fumetti digitalizzati.
Se avete avuto modo di visionare i primi timidi lavori nati in seno a questa piattaforma è chiaro che gli autori coinvolti nell'iniziativa, tra cui il co-creatore di Preacher, Garth Ennis, mirassero a qualcosa di più coinvolgente di una semplice esperienza di lettura.
Electricomics si è caricata l'onere di ampliare il significato di narrazione per immagini in sequenza, in un momento in cui sembrava il fumetto, pr quel che concerne le tecniche non avesse più nulla da dire.
D'altronde Moore già in passato ha vestito i panni del pioniere, in più periodi della storia del fumetto, dal revisionismo dei primi anni '80 con Miracleman e Watchmen, al citazionismo  dei lavori con la Awesome o la Wildstorm, come Supreme e Tom Strong, per non parlare dell'ermetismo dei suoi lavori  di stampo cabalistico di notevole impatto visivo come Promethea, o le ultime ricercate sequenze narrative dell'universo della Lega degli straordinari gentlemen, una epopea che ha consacrato l'opera dello scrittore di fantascienza Farmer, come plot narrativo, e che ha generato innumerevoli cloni, anche sul piccolo schermo.

Dalle parole di Moore su Wired.uk, è facile intuire, che le cose sono molto più complesse ed appetibili do come possano apparire ad un primo approccio:



"Soprattutto, con questo format, volevamo mostrare le possibilità del nuovo medium, non solo aggiungere particolari inutili. Ho sempre pensato che la prima cosa che la gente avrebbe fatto applicando la tecnologia digitale ai fumetti sarebbe stata inserire effetti in tavole che non ne avevano alcun bisogno."

"Non sono sicuro che quel che faremo possa ancora definirsi fumetto. Anche dopo un paio d’anni di lavoro su questo prodotto non ho capito se appartiene a un sottogruppo del fumetto o se sia qualcosa di totalmente nuovo. Credo che deciderò tra un altro paio d’anni, quando forse sarà più chiaro in cosa questo medium è diverso dai comics tradizionali."
 
"Prendiamo Spirit, di Will Eisner. C’è una scena notturna he mostra una casa vuota, di notte, in cui c’è un rubinetto gocciolante. La tentazione, ovviamente, sarebbe di fare in modo che le gocce siano animate e di aggiungervi l’effetto sonoro corrispondente. Ma Eisner, attraverso il linguaggio del fumetto, fa qualcosa di molto più elegante, mostrando il rubinetto con una singola goccia allungata, il che rende chiaro che sta per cadere. E tutti sappiamo che suono produrrà."

Da questi passaggi è fin troppo evidente che se Moore, non ha ancora ben chiara l'evoluzione  del suo progetto, ha di certo chiara l'idea di non scadere nella banalità, insomma a leggere le parole del bardo è lecito pensare che la regola di sfruttare una nuova tecnologia nel momento in cui questa è a portata di mano, non vale per il team di Electricomics, che al contrario sembra più che mai intenzionato a sperimentare al punto di dubitare che si stia ancora parlando di fumetto.

"Questa tecnologia è nuova e ci offre la possibilità di compiere orribili errori come di raggiungere eterni trionfi. Le ci vuole un po’ di tempo per evolversi, non moltissimo a giudicare dalla velocità con cui si muove il mondo oggigiorno. Forse una decade, prima di capire e decidere."

Interessante questo passaggio in cui Alan Moore parla dell'influenza di Winsor McCay:


"McCay comprendeva le dinamiche della pagina a fumetti. Il modo in cui il tuo sguardo si muoveva attraverso i suoi paesaggi, il modo in cui usava le tavole per mostrati qualcosa che diventava più grande o più piccolo, il modo in cui aveva perfezionato tutte le sue splendide tecniche, mai eguagliate dal fumetto sperimentale negli ultimi trent’anni e men che meno superate!
Anche Eisner era un genio, ovviamente, ma molto differente. Eisner usava le sue vignette esplose, ad esempio, in cui sono presenti splendidi paesaggi, ma la pagina stessa risponde a una struttura visiva più ampia, che inserisce le singole immagini in quella che lui chiamava Meta-vignetta. L’intera pagina diventava così una vignetta dal punto di vista funzionale, in cui le vere e proprie vignette erano inserite. Una splendida composizione da vedere sulla pagina stampata, ma che non sarebbe affatto adatta al nuovo medium"

Si evnice l' intenzione di intensificare gli sforzi creativi sulla dinamicità della lettura digitale, l'intervista chiarisce anche del tutto, i contenuti del nuovo lavoro di Moore per Electricomics, Big Nemo, un chiaro omaggio al Little Nemo di McCay, con protagonista un Nemo adolescente alle prese con la spigolosa realtà dell' America durante la grande depressione degli anni '30 illustrata da Colleen Doran. D'altronde l'idea che McCay sia un irragiungibile maestro della cinecità delle tavoe a fumetti, Moore lo aveva già ribadito su Bleeding Cool:

"Immagino di aver pensato che, in termini di movimento cinetico all’interno di una pagina a fumetti immobile, non abbiamo mai superato Winsor McCay. Come animatore, come uno dei padri dell’animazione moderna, McCay stava ingenuamente usando la pagina a fumetti per fornire un senso viscerale di movimento, crescita e trasformazione delle forme. Stava prendendo molti elementi che George Melies aveva usato nel cinema poco prima. Così ho pensato che le tecniche di McCay si sarebbero adattato in modo molto interessante a questo nuovo medium."

"È una linea di fumetti molto belli. Se gli avessi dato troppe “migliorie”, sarebbero stati sul punto di diventare film animati economici, e non era questo che si voleva. Bisognava davvero analizzare a fondo il processo da utilizzare. Cercavo di usare ogni pagina del mio fumetto per sfruttare un tipo diverso di storytelling. Sono davvero soddsfatto dal risultato. Penso che, anche se è un leggermente deprimente, l’aspetto sia delizioso."


Di certo torneremo sull'argomento Electricomics, e sull'impatto che inevitabilmente avrà sul  nostro amato media, nel frattempo il consiglio è di leggere Big Nemo, con una grande prova grafica di Miss Doran.

Baci ai pupi.