Si, questo è un altro blog sui fumetti. E come suggerisce il nome, indica una malattia: la dipendenza dai fumetti.

Benvenuti nell'ennesimo posto del web, saturo di dissertazioni e soliloqui, commenti e suggerimenti sulla nona arte.
Perchè fondamentalmente, chi ama i fumetti, non ne hai mai abbastanza, e non solo di leggerli, ma nemmeno di pontificarci sopra.

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Fumettopenìa è dedicato a Fumettidicarta ed al suo papà Orlando, che dal 2009, non ha mai smesso di farmi credere che scrivessi bene! Anzi scusate, che scriverebbi bene. E se adesso migliorato, lo devo sicuramente ai suoi incessanti consigli.

sabato 26 novembre 2016

Una normale famiglia italiana di cannibali



Non ho mai particolarmente apprezzato lo splatter come genere.
Anzi direi che non l’ho mai potuto reggere più di tanto.
Per esempio, non ho mai finito di vedere un film di Rob Zombie in vita mia, se posso, robe come Cannibal Holocaust e Green Inferno, faccio a meno di vederle,
stesso dicasi per Cabin Fever, The Hostel, Non Aprite quella porta, tutte pellicole che non reggo fino alla fine, e che se costretto a guardare da improbabili serate tra amici, guardo con un occhio solo.
Non che abbia paura, però di sicuro un film su un pazzo che passa le ore a scuoiare e scannare senza ragione a destra e a manca mi mette di sicuro più ansia che un film sulle possessioni demoniache o su fantasmi vendicativi ed assassini.
Nei fumetti è  la stessa cosa, mai letto Mostri e Splatter ai tempi che furono, e di sicuro Delirium, è uno dei Dylan Dog che più mi lasciano inquieto.
Più che altro lo trovo un genere altamente ripetitivo, un po’ come il fantasy, dove gli elementi con cui costruire una storia sono sempre gli stessi e gli autori devono inventarsi, modi sempre più improbabili di sconcertare il lettore, scegliendo nuovi  modi per evirare, amputare squartare…un po’ come il Punitore Max di Ennis, di base la storia era sempre la stessa, ma per lasciare i lettori coinvolti, toccava trovare nemici sempre più meritevoli delle peggiori infamate Frank potesse immaginare.
Per questo motivo, quando mi sono ritrovato a leggere 11 numeri di fila della Famiglia cannibale italiana delle Edizioni Inkiostro ero decisamente scettico sull’appetibilità del prodotto.
Inoltre era un prodotto italiano, e l’ultima cosa con etichetta italiana, che io abbia letto ed apprezzato, credo di averla pagata in lire.

Quando il signor Piccioni  quindi ( che io ovviamente, non sapevo chi fosse, se non un membro del gruppo facebook legato al blog) mi ha contattato per propormi la lettura della sua Cannibal Family, ho cominciato ad avere i sudori freddi.
Con il passare degli anni, ho dovuto rendermi conto che la mia attività di blogger, non mi ha portato certo le simpatia degli editori, anzi diciamo che non godo di troppi favori in genere alle corti  di questi, ma a dirla tutta se è per questo nongodo di forti simpatie nemmeno tra parecchi lettori, ho perso il conto della gente che mi segnala, mi blocca, mi cancella, una situazione che confesso, ormai mi diverte, è bello fare la parte del Dottor Morte, non ci vuole poi mica tutta questa abilità a sviolinare dediche melense a Tizio, Caio e Sempronio, quindi tutto sommato va bene così.


Il teorema pessimista di fumettopenia, per chi segue il blog è abbastanza noto, vale a dire l’annichilimento del fumetto italiano per mano di autori mediocri, lettori dementi e circuito critico marchettaro ed asservito, credo si trovi QUI, è per questo che quando è arrivato il corriere con questo bancale di materiale da leggere in casa, una volta convinto mia moglie che voleva accoltellarmi convinta che avessi pagato il tutto, mi sono ritrovato nella spiacevole condizione, eticamente parlando di privato con uno strumento divulgativo e con del materiale di un editore in visione.
Un passo falso e l’etichetta di marchettaro era attaccata per sempre.
Neanche per sogno,  ma credetemi non è una situazione semplice, per questo mi sono preso i miei tempi ed ho letto Cannibal Family, un albo alla volta, con le dovute pause, per il semplice piacere di leggerlo piuttosto che come un lavoro da svolgere.
E comunque il sig. Piccioni era stato avvisato, non sono esattamente di bocca buona e vivo nella felice condizione di pregiudizio selvaggio verso i prodotti nostrani.
Con il passare dei giorni però, mi sono accorto che nonostante i tocchi di carne ed i litri si sangue che sfondavano la griglia e mi si riversavano addosso, questo benedetto Sig. Petronio mi stava catturando in maniera inquietante.
Al punto che negli ultimi giorni ho letto solo ed esclusivamente quello, fino all’ultimo numero pubblicato, l’undici, una lettura da cui è emersa una buonissima storia (nonostante lo splatter), una caratterizzazione dei personaggi assolutamente più che dignitosa, un progetto seriale audace nonché una sceneggiatura  incalzante che splitta tra passato e presente con una facilità disarmante, gravida di personaggi e situazioni godibili ed intriganti.
Senza spoilerare troppo posso dirvi che nel mio caso, galeotti furono il personaggio della cagna nazista,  che da sola è un ode sublimata alla sindrome di Stoccolma, e Gabriele il nipote pazzo che cresce di spessore come character, numero dopo numero.
Il comparto grafico della serie è notevole, dalle copertine alle tavole, è tutto un bel vedere se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo, le più deboli, sono alcune storie che illustra lo stesso Piccioni, tipo l’ultima parentesi in Giappone, in cui appare piuttosto confusionario e frettoloso, ma per il resto delle volte, anche l’editore barra scrittore si difende con onore.
Se il giovane Alfredo Petronio d’altronde ha il suo fascino demoniaco, è per merito di Piccioni che mi sembra di capire, sia l’ideatore della linea temporale in cui si narrano le vicende del passato legate a questo cannibale italiano.
Poi come già detto qualche riga più su, e non pensavo di scrivere in maniera tanto entusiasta per qualcosa di italiano: la serie è gravida di personaggi, sottotrame ed idee, come i vermi rigeneratori, il mattatoio in cantina, le cameriere in abitini sexy ammutolite da una ball gag alla bocca, che sono certo hanno qualcosa da raccontare prima o poi, visto la certosina passione usata sul cast dal team di autori.
Insomma, lungi da me, usare termini pomposi che di solito ormai riservo solo ai giganti inglesi, come capolavoro ed opera d’arte Cannibal Family nel panorama italiano è un’isola felice.

Magari definirla felice,visto i temi truculenti, non mi sembra il caso, ma è comunque un isola più che ospitale e fertile nel mare morto che è l’editoria italiana.
A grandi linee, per lasciare curiosi quelli che ancora non sanno cosa sia, il fumetto parla di una ricca famiglia italiana, i Petronio, i cui membri sono tutti dediti al cannibalismo.
Il patriarca, Alfredo però, impone un rigido codice morale ai membri della sua famiglia, a tavola cucinati in tutte le salse, ci finiscono soltanto membri della società che hanno in qualche modo recato danno al prossimo, dalla bella arrivista che sposa un allocco per denaro, all’imprenditore che licenza gli operai e opta per manodopera a basso costo, il codice morale di Petronio insomma  prevede che solo chi merita una punizione esemplare, finisca nella sua dispensa, una trovata semplice che impedisce a chi legge di estraniarsi ed annoiarsi nella lettura, e che coltiva al contempo nei lettori,  una malcelata simpatia verso questa atipica famiglia, per alcuni di loro sicuramente se non altro.
Insomma sul gruppo facebook legato al blog che perdura nonostante tutto, non era raro leggere commenti entusiasti su questo editore, commenti che ho sempre preso con robuste e grosse molle, per via di mie quasi incrollabili e maligne supposizioni, dopo undici numeri devo fare un passo indietro e ridimensionare il mio pensiero nichilista: oggi il mare de merda italiano è cesellato da almeno un porto valido, e non è quello Proibito della Bao, ma è una sorta di inquietante Tortuga, che ammalia e conquista i suoi avventori con il fascino dell’ orrore puro.
Cannibal Family, è un prodotto nostrano altamente valido, forse uno dei pochi, e la piccola realtà editoriale  delle Edizioni Inkiostro è affascinante proprio per via del suo anacronismo, in un periodo editoriale in cui le uniche proposte editoriali sono in calzamaglia, figlie stupide del web, o opere (dio mi perdoni) sature di una autorialità che francamente poi latita, Inkiostro ha optato per un genere narrativo che pensavo inflazionato, morto e sepolto, e che in Bonelli per esempio, comunque non ha portato i risultati sperati, nonostante la campagna di marketing martellante come un bombardamento americano in Vietnam. 

Una scelta che pare sia stata abbondantemente premiata dai lettori, e Moore mi perdoni, anche da me.
Quindi si, visto la mia reticenza verso il genere e la nazionalità della serie, e visti i risultati, non posso che consigliarvi la lettura di questa Cannibal Family, se poi siete di quelli che ai concerti di gruppi grindcore adorano ricevere in testa secchiate di frattaglie dagli artisti sul palco, direi che Cannibal Family è un prodotto essenziale.
Ma credo la vera vittoria sia conquistare lettori che detestano il genere splatter, e la bravura di Piccioni e co. (perdonatemi se non cito tutti) ha saputo relegare gli sventramenti ad una cornice.
Ora aspetto esca il dodici con inaspettata ansia.
Baci ai pupi.

Anzi c'è una cosa che poprio non mi è piaciuta di Cannibal Family: la ricetta in quarta di copertina, quella è davvero disturbante, ma inquieta solo me?

mercoledì 16 novembre 2016

La visione di Tom King


E' sempre così che va quando arriva sugli scaffali un volume che, sembra l'intera comunità di lettori aspetti con ansia.
Anche se sostanzialmente non ti tange, c'è una piccolissima parte del tuo cranio, autonoma, che continua a lavorare a pensieri negativi ed autolesionisti, un pò come quando sai che c'è una festa della madonna in città e tu per un motivo o per un altro la mancherai.
Vedi tutto in una prospettiva sballata.
E' esattamente questo che è successo con la famosa Visione di Tom King.
A sentire i lettori italiani, lo zoccolo duro, quello duro de comprendonio almeno, questa serie è una delle più rivoluzionarie nella casa delle idee, più adulte e più mature, addirittura.

Una storia carica di significati e di una analisi del diverso, come mai si era visto prima.
Io alla fine ho scelto di andarci a questa festa, ma memore dei mille bidoni tirati da editori e lettori, ho deciso di andarci da imbucato, ed il volume di cui sopra, invece di comprarlo, me lo sono fatto prestare in cambio dei due tomi di Providence di Moore e Burrows.
Ad occhio e croce direi che è andata meglio al mio compagno di merende.
Avrete intuito che al contrario di molti forum, siti e pagine di settore, a fumettopenia, questa famosa Visione, dopo attenta lettura, non ha fatto ne caldo e nè freddo.
E per quanto vi sembrerà incredibile, nonostante lo abbia letto appena due giorni fa, sta già scivolando via dalle maglie della memoria ad una velocità spaventosa.
Sia chiaro, non è manco una brutta storia, è che non c'entra assolutamente nulla con Visione, men  che meno con i vendicatori che ogni tanto fanno capolino nelle pagine.
Non so cosa gli sia successo a Visione durante le guerre segrete di Hickman, fatto sta che qui, all'alba dell'ennesimo restart Marvel, ce lo ritroviamo alla periferia di Washington, con moglie e prole sintezoide di ultima produzione.
In termini di continuity non si capisce bene questa scelta imperovvisa, non che Visione poi sia così vergine alla sperimentazione della vita di coppia.
Fatto sta che l' acclamata serie di King, si riduce a questo: un androide ansioso di emulare gli umani, va a vivere nella classica stradina di borgata borghese americana calandosi nella routine del vero sogno americano contemporaneo.

E come il genere umano che vuole emulare, si ritrova a compiere scelte  palesemente sbagliate.
Stravolgendo tanto per cambiare l'ennesimo character della casa delle pessime idee.

uno dei momenti evidentmente più adulti di Visione.

Nulla di nuovo se avete già visto, Rdward mani di forbice, American beauty, Desperate housewife, La moglie perfetta, e qualsiasi altra cosa di quel filone della serie "l'orrore dietro la quotidianeità".
Ignoro perchè i siti di settore ed i lettori si spertichino in complimenti melensi, come ignoro dove sia nascosta in questa lettura,  la chiave più impegnata della miniserie, insomma ho visto affrontare il tema della diversità in maniera più toccante in Voglia di Vincere con Micheal J. Fox nelle vesti di un adolescente licantropo.
Tutta la pantomima sul robot che si ostina a voler diventare uomo poi, è piatta e vecchia,  farne un cardine di questa ennesima delusione semiseriale (nel senso che ormai le serie non vanno oltre i dodici numeri) evidenzia una paurosa carenza di esperienze: i temi che qui si accarezzano appena, sono decisamente più vivi in altri prodotti:
Blade Runner in primis, ed ovviamente il romanzo originale da cui il film è tratto, o la saga di Ghost in the Shell di Shirow, o Io Robot, solo per citarne alcuni.
Il problema di questo Visione è doppio: come Thriller fantascientifico, l'ambientazione in un universo fumettistico come quello marvel è deleteria, le sporadiche apparizioni dei colleghi vendicatori sono ridicole e tremendamente fuori luogo, come fumetto Marvel è anche peggio, quello in quelle pagine non è certo Visione, al di fuori dei rendersi intangibile e volare, nulla di quello che fa questa Visione è riconducibile al membro dei Vendicatori. Non vedo in che modo un androide che copre il delitto della moglie o bullizza il preside della scuola in cui suo figlio è protagonista di un episodio di violenza su un ragazzino, possa essere ricondotto ad un characters che appena qualche serie fa era totalmente diverso.
Probabilmente con la giusta  etichetta l'idea di King ( ribadiamo, che ha tutto meno, l'originalità) poteva essere interessante, quel logo marvel però si porta dietro il suo carico rischioso, Visione è una storia di supereroi, e pertanto l'infausto finale del primo volume fa intendere che la trama si risolva alla solita maniera.
Poi in che modo la vecchia balia dei figli di Visione e Scarlet, sia un fantasma con tanto di nefasta profezia nell'ultima pagina, e una maga viva di carne ed ossa nelle prime pagine , io non l'ho capito, ma presumo sia perchè non leggo i Vendicatori da più o meno qualche secolo, da quando la balia di cui sopra, morì per mano di Bendis, in Vendicatori Divisi, IMHO il vero inizio della fine nella casa delle idee.
Deluso da questa ennesima lettura Marvel mi sono messo a cercare opnioni di altri siti, e mi sono imbattuto in quella di Comics Preview che ho trovato  a dir poco esilarante.


E’ un’opera destinata ad esaurirsi, poiché è, senza dubbio, la migliore serie supereroistica sul mercato.  Chi vi dirà il contrario non l’ha letta, oppure ha problemi personali con la Casa delle Idee o ha perso per strada il gusto del bello. Pochi fumetti di genere supereroistico hanno raggiunto, negli ultimi 10 anni, un livello qualitativo simile a questo La Visione volume 1 

Evidentemente ho problemi con la casa delle idee, perchè a me sta miniserie non solo non mi è piaciuta, ma faccio fatica ad inserirla nelle migliori letture della settimana, settimana in cui l'unica alternativa è l'Antman di Spencer, figuriamoci tra le migliori serie a fumetti degli ultimi dieci anni.


Tom King non si è limitato a raccontare un evento, ma è andato oltre, raggiungendo un livello di scrittura fuori dall’ordinario. King non ha mai scritto qualcosa del genere, mai con questo stile narrativo, avvicinandosi a tratti alla genialità di Alan Moore ed altri fumettisti “fondamentali”.


In questo passaggio mi è balenato il dubbio che forse non stavo leggendo un pezzo di un lettore disinteressato, ma una marchetta di un sito che si limita a fare da cassa di risonanza alle promozioni editoriali nostrane, perchè con tutto il bene che si può volere a questo Tom King, a me onestamente sconosciuto, ma paragonarlo al povero Bardo mi sembra che sia decisamente un' esagerazione.


Ci troviamo di fronte ad un fumetto scritto in maniera intelligente, con passione e libertà. Lo sceneggiatore ha avuto carta bianca per estremizzare certe situazioni, senza avere paura di maltrattare la caratterizzazione del protagonista. Il suo racconto è violento, estremo e lucido, lineare e carico di cultura. E’ analitico e mai superficiale. Non si può accostare minimamente a tutta la massa di albi portati in edicola e fumetteria in questo periodo storico.

Qui il dubbio si è trasformato: " vuoi vedere che io sto leggendo qualcos'altro?"
Poi ho letto il seguente passaggio ed ho riaperto Amazon alla ricerca di una edizione parallela magari sotto etichetta Marvel MAX.

Di supereroistico c’è veramente poco. Se ci fosse stato qualsiasi altro androide anonimo al posto del Vendicatore non sarebbe cambiato granché. Quanto narrato ha un valore universale e riguarda solo marginalmente gli essere artificiali, figli dell’uomo. I dialoghi ed i testi sono ricchi ed intelligenti. Stimolano il lettore, lo portano a riflettere e meravigliarsi.

Ma siccome non c'era nulla del genere, ho dovuto conlcudere che quelli di Comics Preview,  sono stati davvero inspiegabilmente folgorati da questa lettura, il perchè in tutta onestà lo ignoro, presumo o che abbiano cominciato a leggere da qualche mese, o che sia una imbarazzante marchetta per guadagnare visualizzazioni.
L'edizione panini è il cartonato con copertina gommata che va per la maggiore ultimamente, come bacino di utenza si rivolge esclusivamente ai completisti o ai tordi che credono alle parole di siti come quello da cui abbiamo estratto qualche passaggio.
Evidentemente il buon Lupoi, al contrario di Comics Prewiev, sapeva che pubblicare questa miniserie in edizione da edicola sarebbe stata un suicidio editoriale, come Squirrel Girl, d'altronde il traino cinematografico di Age Of Ultron e Civil War è ormai passato, evidentemente il direttivo avrà fatto due calcoli ed avrà pensato che non valeva la pena rischiare una grossa tiratura per un personaggio minore che non tutti conoscono, e che quelli che conoscono,  non è detto che apprezzerebbero vederlo in queste vesti ambigue alla American Beauty.

Per concludere, La Visione è un titolo da maneggiare con estrema cautela, è raccomandato ai compulsivi che non possono fare a meno di comprare, ai completisti, agli schiavi dell'unimente da social secondo la quale questo King, al pari di Kot e Lemire, sono i nuovi autori di considerevole importanza in circolazione.
14€ per i primi sei numeri di una miniserie che ha esposto più difetti che pregi, sono una spesa da valutare più e più volte, calcolando che per la conclusione toccherà spenderne altri 14 almeno. E tenendo conto che non è detto che la conclusione valga il costo totale di almeno 28€.
Probabilmente si finirà con il pontificare sui modelli cerebrali usati per creare prole e moglie, visto che per certi aspetti, sembra abbiano la programmazione comportamentale di Ted Bundy piuttoto che quella che ti aspetteresti dai parenti di un Vendicatore.

Il capitolo con la lista delle 30 e passa volte in cui Visione ha salvato il genere umano, è tra i punti più bassi della nona arte contemporanea, lento, noioso, e diciamolo, saranno anni che nella sottocategoria seriale, di cime se ne vedono ben poche, giusto il Multiversity di Morrison è riuscito a restituire della dignità al media, certo non King, certo non la sua Visione.
Nulla da Dire invece sulle tavole, ma come Rosanas, Hernandez Walta non ha alcuna colpa se è chiamato ad illustrare sceneggiature poco più che mediocri. L'impegno c'è ed è visibile, ma non è che solo l'illustratore possa fare miracoli.
Quindi per fumettopenia, La visione, può restare tranquillamente sugli scaffali, ovviamente il flop con il sintezoide, manco a dirlo, ha frenato l'entusiasmo anche per quasta fantomatica Pantera Nera, e se queste sono le teste di ponte della nuova Marvel, direi che ho fatto bene a metterle da parte, e comprare Paulette delle Edizioni Milano degli anni '70.

Vi lascio con un' altra massima tratta dalla recensione di ComicsPreview
 "Siamo di fronte al nuovo Blade Runner della Nona Arte"
Ma manco per il cazzo, semmai siamo di fronte alla più imbarazzante delle marchette.
Baci ai pupi.

domenica 16 ottobre 2016

Maxi Tex Il ponte della Battaglia


Probabilmente questo post sembrerà scritto dal mio ultracorpo, fresco fresco di baccello.
Sto per spendere parole entusiaste per un Tex!
Ed invece guarda i casi della vita.
Ero in reparto proprio stanotte, e tra una signora confusa che si è quasi strappata la derivazione ventricolare esterna, ed il solito vecchietto che ha trafficato con il catetere vescicale, per stare sveglio ed arzillo durante la ronda notturna, mi sono letto il Maxi Tex in edicola adesso, sgraffignato ad un paziente.
Bello.
E sono giunto a varie conclusioni che vorrei condividere con voi:
Ogni tanto un Tex fa bene.
E' un campione di intrattenimento, ora capisco perchè piace tanto agli anziani, Tex è una garanzia, sai già quello che ci trovi dentro, eppure lo leggi uguale, perchè quello che piace di Tex è la sua essenza di giustiziere.
Non è come le sperimentazioni moderne, non è che lo compri e dentro c'è Texa Willer la ranger più veloce del West, c'è sempre lui, non ha bisogno di morire, di risorgere, di cambiare, sesso o colore.
E' ancora li, infilato nella rastrelliera in edicola che guarda spaccone e beffardo le varie mutazioni degli altri albi, smentendo alla grande la teoria evoluzionistica secondo la quale per sopravvivere devi cambiare.
E' l'eccezione che conferma la regola, il buon Tex.
Ehi! Arriva Tex, il torto sarà raddrizzato.
Per quanto , ricco, infame, malvagio, cattivo e veloce potrà mai essere il nemico di turno, il finale è scontato, eppure per 400 pagine di storia, salvo quando avevano bisogno di me in corsia, non ho mai staccato gli occhi di dosso dal tomone di 6,50€.
Tex è Superman, e quando leggi "Stai calmo pivello, quello è Tex Willer, un tizzone d'inferno che ne ha spediti anzitempo, di uomini a spalare carbone dal satanasso", anzi per quante volte lo leggi, e succede almeno una volta al mese, ti dà sempre un brivido di insano piacere, che fa traballare quelle intime convinzioni da lettore hipster della serie: "Ehi io solo revisionismo e decostruzionismo."
Deve esserci una alchimia nel personaggio, una magia che giustifica quella diretta proporzionalità che corre tra quanto possono essere scontate le storie di Tex, e le vendite ancora più che rispettabili, visto l'andazzo.
Stavolta Tex è alle prese con un ex maggiore sudista tanto ambizioso quanto spietato, che decide di appropriarsi delle terre di una comunità limitrofa di neri, per il suo tornaconto personale
Senza spoilerare troppo.
Nulla di ancestrale o di rivoluzionario eppure è una lettura che fila via che è un piacere.
I dialoghi sono nella norma texana, satanasso, vecchio reprobo, gran putifarre, eppure come dicevo in apertura ogni tanto un Tex fa più che bene alla lettura.
Perchè Tex non è nient'altro: una lettura. Ed è rimasta tale ed immutata nonostante i tentativi di farlo ostinatamente sembrare qualcos'altro dai vari addetti ai lavori.
Bonelli dovrebbe accontentarsi del suo primato, in pratica l'unico editore di fumetti italiano che conti una certa lungimiranza. Ed a volte come in questo caso, anche una certa qualità.
Il resto sono solo meteore.
A volte è quasi divertente vedere il viscerale contrasto tra la Bonelli sui social e la Bonelli nel sociale, la prima sbraccia e sgomita per piazzarsi sulle vette di chissà quale olimpo del fumetto italiano, la seconda che invece, è rimasta la stessa di 20 anni fa quando dominava le vendite con Dylan Dog, il brossuratino dalla carta ruvida che prendevi in edicola e lasciavi dal barbiere, o facevi girare a scuola, o che, come nel caso del mio notturno benefattore, ti porti dietro in ospedale, ed usi per staccare quell'oretta, pensare ad altro che non sia quel risultato sballato che ti ha menzionato il medico stamane al giro e che non riesci più a ricordare..
 I Texoni giganti cartonati ci sono sempre stati, c'erano in libreria che ero io piccolo, con il costone rosso fuoco, ed il font del titolo sempliciotto e senza fronzoli, che era? Impact?
Ora non ricordo chi li stampava, ma di certo non li ho mai sentiti dire la fesseria assurda, che erano prodotti che avrebbero incrementato del 30% le vendite delle fumetterie italiane (Foschini all' inaugurazione del catalogo Bao Bonelli - Fumettopenia non dimentica).
Nel pratico Bonelli e Tex sono rimaste gli stessi, immutati rispetto alle passate decadi, quindi perchè non apprezzarli per quelle che sono ed evitare di diventare facile bersaglio di chi invece sa che altrove il fumetto è molto più avanti?
Il Maxi Tex è una pubblicazione che offre a scrittori ed illustratori la possibilità di stilare una storia in 300 pagine, certo con tutte le regole ed i paletti che Tex si trascina dietro da secoli ormai, nessun riferimento politico, nessuna presa di posizione sulla religione.
Non c'è metafumetto in Tex, c'è solo un ranger che fa rispettare la legge, la giustizia, quando la legge mostra qualche falla.
E nel caso di questo Maxi Tex, il buon Ranger se la vede con il lato oscuro e marcio del progresso e degli affari e Ruju riesce persino ad emozionare e pone il lettore in un inaspettato stato di spettatore ansioso di sapere gli esiti di questa piccola guerra, c'è persino una caratterizzazione in quelle pagine, ed il buon Cossu che io non vedo dai tempi di quelle storie di dylan dog in cui l'indagatore se la vedeva ora con le ombre assassine, ora con un assurdo word processor che rendeva reali i refusi degli scrittori, meno male che non è il mio altrimenti chissà cosa sarebbe ora l'italia, visto la quantita stellare di errori di battitura e analisi logica che ogni tanto faccio.
Cossu, dicevo fa il suo dannato lavoro, a riprova che quando è messa alla berlina, la Bonelli, non è perchè è antica, ed usa ancora la griglia, ma perchè non c'entra assolutamente i bersagli, specie quelli di marketing, non è certo una splash page che rende un fumetto più appetibile, è la storia, quindi Ruju si, Ratigher no.
la temibile griglia bonelli
Uff...quante chiacchiere superflue devo lasciarvi, ma casomai non si fosse capito, il Maxi Tex, il Ponte della Battaglia, in edicola adesso, di Ruju e Cossu, merita assolutamente le vostre attenzioni, per una volta che il fumetto nostrano non si veste di imbarazzo, non è assurdo che le cose più carine in Italia sono quelle di cui si parla meno?
6,50€ sono almeno 3 albi della nuova ristampadi settimanale di Orfani, scommettiamo che non c'è paragone?
Baci ai pupi.

venerdì 14 ottobre 2016

The Fiction

Cos'è la realtà?
E' un ologramma ipercodificato?
E' un'allucinazione consensuale?
Forse è qualcosa di più semplice.
Forse è solo una storia ch raccontiamo a noi stessi 

 E' uscito da pochissimo The Fiction, ed io me lo sono già preso per via del buon David Rubin, l'illustratore che ha disegnato il bel volume della Tunuè, Beowulf. Di cui in passato abbiamo parlato qui.
A fine lettura, l'unica considerazione che ti viene da fare è: ma perchè in Italia non ci sono questi plot narrativi?
Per quale motivo oltre i confini del nostro paese ci sono scrittori che creano storie rifacendosi ad autori come Carroll o Borges, mentre qui pontifichiamo, entusiasti per giunta, per mesi, su un indagatore con il cellulare?
Alla fine mi sono dato una risposta, non che qui gli scrittori siano particolarmente stupidi, semplicemente perchè nessuno tutela la loro creatività, e quando intendo nessun, intendo gli editori, ed i lettori.
Strutturalmente in the fiction non c'è nulla di nuovo se vogliamo star li a fare i pignoli, ma scriviamo più o meno da quanto?
3200 A.C.?
Dura inventarsi qualcosa di veramente nuovo, ma raccontare?

Raccontare è tutto un altro paio di maniche, raccontare, intrattenere, quello o sai farlo o non sai farlo, ed altrove lo sanno fare, potete sbattere la capoccia al muro quanto volete, è così.
La novità è che forse la colpa non è solo degli autori italiani, magari è un peso da rifilare anche a chi li paga, ed i pagamenti vengono da due fonti, lettori ed editori, non in questo ordine, ed a sentire in giro, l'unica certezza è che di sicuro voi pagate per leggere, ma che l'editore paga chi scrive, è una realtà effimera e sfuggente.
Detto questo - mi servono queste introduzioni per la mia crociata sull'editoria italiota - andiamo al volume di cui sopra.
Prima le uniche note dolenti: Printed in Poland. Non ci siamo.
Per il resto il volume è il solito cartonato italiano, solido, carta ad elevata grammatura, prezzo standard 16,90€ , insomma escluso per le dimensioni, poco più piccolo del formato comicbook, ma la Tunuè, non è la Cosmo quindi probabilmente è al riparo dalle inutili crociate dei lettori italiani, la regola HD della panini fa provincia, ed il risultato è al solito tragico:
Finchè gli editori giocheranno sul formato di lusso, per alzare i prezzi, il fumetto di qualità, e The Fiction, rientra senza dubbio alcuno nella categoria, resterà sempre miraggio di pochi, con i suoi canali distributivi elitari e la scarsa promozione, mentre forgeremo i gusti dei giovani lettori con il mainstream di bassa lega degli spillati Panini, ed il paleolitico fumetto popolare italiano, senza tirare in ballo l'atroce deserto che è il webcomics italiano.
Una piaga che manco le cavallette in Egitto.
Tanto per dare qualche volto e qualche nome allo sfacelo nostrano.
Non recasse il nome a me sconosciuto di Curt Pires, avrei attribuito la paternità di questa storia al buon Grantone Morrison.
Libri che fungono da portali verso altre realtà , sparizioni, esseri sovradimensionali, storie senzienti, riferimenti letterari certo non di popolana fruibilità, come Borges ed il suo Aleph, come dicevo più su, se è difficile inventare cose nuove, il segreto per catturare i lettori è saper raccontare.
Un gruppo di ragazzini, in soffitta, scopre una serie di libri magici, la cui lettura li trasporta in una dimensione onirica, ora ammaliante, ora terribile e corrutrice, l'atmosfera da sogno verrà meno quando in una di queste incursioni, il piccolo Tsang risulterà disperso, in questa sorta di Shangri La, da quel momento i ragazzi chiuderanno i libri e andranno avanti nelle loro vite con un silente peso sulla coscienza.

Se proprio tocca trovare un difetto a questa miniserie è il fatto che sia solo di 4 numeri, ma vai a capire come funziona la politica editoriale dei Boom Studios, ho come l'impressione che se avesse potuto disporre di più spazio, Pires avrebbe confezionato una caratterizzazione da manuale dei personaggi protagonisti, visto il continuo viaggiare sulla linea temporale delle loro vite.
E comunque anche così, hanno il loro carico di carisma, vedere l'entità dorata o il corruttore.
Su Rubin è inutile spendere parole superflue, se difetta per minimalismo in alcuni passaggi, de gustibus comunque, io lo trovo estremamente dettagliato della descrizione degli ambienti e dei personaggi, compensa con una cinetica della tavola fuori dal comune, anche la colorazione netta e vivida di Micheal Garland aumenta l'appetibilità del volume, dal quale difficilmente riuscirete a staccarvi senza covare la curiosità di cosa succeda la pagina successiva.
Il volume merita?
Visto il costo rimando a voi la scelta, di certo è una lettura diversa ed interessante, di certo leggerla aumenta la consapevolezza del divario tra i nostri fumettisti e quelli esteri, di certo è meglio dei vari Venidcatori o Mutanti o Inumani che tappezzano le edicole oggi, ma la decisione finale è vostra, personalmente l'ho adorato proprio per il suo plot sotanzialmente più ricercato, ed ovviamente il suo illustratore che adesso sembra sia lanciato anche su suolo americano.
Sicuramente è da tenere d'occhio e visto che ho appena sgamato una anteprima del fumetto su Lo spazio bianco, la scrocco, vi lascio il link così potete farvi un'idea da soli.
Alla Tunuè rinnovo i complimenti per i catalogo sempre più interessante, ma la stampa in Polonia, mi spiace ma decisamente non riesco a digerirla.
Nel frattempo vi auguro un buon fine settimana, e scusatemi se sto trascurando il blog.
E' che sono entrato nella sacra rota della Playstation 3, e se non gioco, leggo e rileggo Providence in attesa che la Panini si degni di concluderla.
Baci ai pupi.

lunedì 11 luglio 2016

Fumettopenia D'essai: L'Ulysse

Era il 1974, è gennaio per la precisione, io manco esisto ancora, i miei si sposeranno qualche mese dopo, ed in edicola arriva una nuova rivista: Alter Linus. direttore responsabile, Oreste Del Buono. 
Fortunatamente per i lettori del 1974, non esistono ancora nemmeno i nuovi mostri dell'editoria italiana, deve essere il Karma che compensa, certo avevano Andreotti al ministero della difesa, ma almeno non avevano Foschini che dichiara di aumentare le vendite del 30% e salvare le fumetterie d' Italia grazie al nuovo accordo distributivo bonelli-bao con la sua linea di cartonati di lusso, le cui storie, le puoi trovare nel circuito dell'usato al prezzo di 50 cent./1€ ad albo.
Ma è un karma che compensa con classe, nel 1974, per dirne una, si iscrive al Dams di Bologna un certo Andrea Pazienza, ma questa è un'altra storia, oggi parliamo di una particolare opera apparsa sulla neonata (allora) Alter Linus, in un mondo editoriale diversissimo dal nostro in cui gli editori ricercavano Editor capaci e non si affidavano alla vox populi, e probabilmente la vox populi di allora, aveva un altro livello culturale, un analisi cmq che approfondiremo meglio la prossima volta in cui parleremo di un altro fumetto, apparso su Comic Art, tanti anni fa.

Oreste del Buono non è proprio l'ultimo degli asini:
Scrittore, giornalista, critico letterario e traduttore, è della vecchia guardia Del Buono, si è fatto anche un anno e mezzo di prigionia con i Tedeschi nel 1943.
Tra i suoi meriti, quello di aver visto le potenzialità del media fumetto, di aver promosso autori stranieri su italico suolo ed aver introdotto artisti italiani nel mondo professionale, un nome tra tutti Tiziano Sclavi.
Ha curato la stesura della prima enciclopedia del fumetto edita in Italia, quella della Milano Libri e dal 1972 al 1981 e rientra tra gli uomini che ha fatto conoscere agli italiani dell' epoca storie come Corto Maltese, Lil Abner, Dick Tracy, BC, Valentina e Paulette, solo per dirne alcuni.
Lascio a voi trarre le dovute ed impietose conclusioni.


In particolare su Alter Linus #01del gennaio del 1974, in un periodo storico in cui la rivista Linus, passata a Rizzoli, ha conquistato una posizione di rilievo nel panorama culturale italiano, appare per la seconda volta il capitolo 1 de Ulysse, degli autori francesi Lob e Pichard, il secondo in particolare è l'illustratore della avvenente Paulette, un personaggio femminile di cui ormai in Italia si sono perle le tracce, proprio per via della crisi culturale ed editoriale di cui sopra.
Ho detto appare per la seconda volta, è vero, perchè gia alla fine degli anni '60 su Linus comparve il primo capitolo di Ulysse, ma poi fu interrotto per un diverbio tra i due autori francesi.
Lob e Pichard confezionano un adattamento del poema di Omero che ha del magico, forti del concetto che i supereroi sono prodotti generati dagli archetipi divini, i due autori francesi ci propongono una versione degli dei dell' Olimpo assolutamente revisionista: tutine sgargianti, fisici scolpiti, costumi a tema, e persino una Z gigante per il padre di tutti, in bella mostra sul largo torace. Gli Dei di Lob e Pichard sono alieni annoiati che passano l'eternità ad osservare gli umani dalla loro Astronave situata sul monte Olimpo, la guerra di Troia è già finita, e gli Dei sono già alla ricerca di un nuovo passatempo, così nella sala del trono con tanto di proiettore, qualcuno propone di giocare con Ulisse ed impedirgli un facile ritorno ad Itaca, tra un coro entusiasta ed un unica voce contraria la sua bella compagna, il buon Zeus acconsente al nuovo sollazzo, promettendo alla sua consorte di vigilare sull’incolumità del suo protetto.
Si accendono i motori e dalla cima del Monte Olimpo si stacca la dimora degli Dei per seguire più da vicino le nuove disavventure di Ulisse, che nel porto della vinta Troia, sta imbarcando sulla sua nave un passeggero di tutto rispetto, un certo Omero professione cronista.
Ancora vedente.
Le fatiche di Ulisse revisionate dai due geniali autori francesi sono di una bellezza ed un divertimento disarmante: dal ciclope biomeccanico Polifemo, passando per la maga Circe, regina e maga suprema delle sostanze psicotrope, i dodici capitoli dell’odissea sono fumetto vero.


Pichard, già famoso per la sua maestria nel disegnare figure femminili, scatena la sua fantasia nel design di ambientazioni e personaggi, ed il risultato è che  l’elemento divino, inquinato dalla componente sci-fi, genera i più bei Dei greci che voi abbiate mai visto.
E se non ci credete date un occhiata a Poseidone, vero villain dell’intera vicenda. O anche alla dimora di Eolo.
Lob dal canto suo capitolo dopo capitolo srotola alcune sottotrame sugli dei, ed una caratterizzazione di Circe che legano il lettore alle pagine.
Come tutte le cose belle, in Italia di questo adattamento dell’Ulisse, si sono abbondantemente perse le tracce, come per Tenebrax (sempre opera di questo dinamico duo), per il quale se possibile, siamo messi anche peggio, una storia in cui uno scrittore di gialli, lotta contro una nemesi spietata, Tenebrax appunto, che brama di conquistare Parigi con il suo esercito di ratti.

Le edizioni italiane dell’Ulysse sono due, la prima è quella apparsa sull’annata Alter Linus 1974, annata che se recuperata vi offre anche, la parentesi amazzonica di Paulette con tanto di incontro con Hitler, i primi capitoli dello Scorpioni del deserto di Pratt, ed un arc di Dick Tracy; per citare le teste di serie, poi se aggiungete il Moby Dick di Dino Battaglia, direi che siamo tranquillamente dalle parti della nona colonna dell’arte.

L’altra edizione è un brossurato di cui non ricordo l’editore, di non facile reperibilità e dal costo non del tutto accessibile, dai 35€ a salire.
Il consiglio estivo di fumettopenia è il recupero (anche lento) e la lettura di questo adattamento, e regalarsi un’ approccio ad una diversa concezione di fare fumetto, una realtà ormai estinta, specie da noi.
Così da rendersi conto del tracollo italiota, divertendosi.
Baci ai pupi.                                                                       

giovedì 30 giugno 2016

La sezione Otto da evitare

40 anni e ancora mi riduco come Ulisse sul ponte della sua nave, ammaliato dal canto delle sirene.
Ecco come come mi sono sentito a fine lettura di questo volume.
Ha il gusto della reunion dei Pooh o di quella dei Deep Purple, manca tutta la magia dei tempi andati.
Arrivato con immensa fatica all'ultima pagina, mi è quasi sembrato di vedere Ennis e McCrea con in mano i carnet di bollettini findomestic firmati dalle rispettive mogli da pagare.
Avevano questo immenso, enorme bersaglio chiamato appetibilità, e lo hanno mancato più o meno di un chilometro, confezionando una miniserie senza capo, ne coda, che preme esclusivamente sulle corde del cuore in copertina, ma poi lo calpesta all'interno dell'albo con una storia latitante e disegni non all'altezza del mito da cui attingono.

La Sezione Otto Originale.

La section 8 originale appare del capolavoro di Ennis e McCrea chiamato Hitman.
E' un gruppo di supereroi a dir poco atipici, apparsi per la prima volta in Italia grazie agli sforzi della Play Press: Six Pack vigilante di Gotham, Fuoco Amico, Skatarr, Defenestratore e Saldacani sono il decadentismo della supereroe in calzamaglia, tutto quello che Shuster, Siegel, Kane e Finger non si sarebbero mai sognati di far fare....la Sezione Otto è satira sul revisionismo, è Pat Mills dopato, ed inserita nel lungo appetibile affresco narrativo di Hitman, questo sgangherato gruppo di supereroi ha regalato risate ed emozioni.
E qui c'è il pacco.
L'acquisto dell'ultimo volume uscito per la RW Lion. All Star Section Eight, gioca tutto sulla nostalgia, sul bisogno di rivivere quella magia, è un pò come i pensionati che comprano i biglietti per il tour della reunion dei Pooh, ma senza la soddisfazione alla fine del concerto.
Insomma All Star Section Eight di Ennis e McCrea è da evitare assolutamente, mi ha così disinnamorato dall'autore scozzese, che dopo la cocente delusione, sono restio anche a prendere il tomo edito da panini Red Rover Charlie, di cui invece sento parlare un gran bene.
Il guaio di Section Eight è che non c'è una storia, non si capisce bene il senso di tutta la miniserie, è quasi disartrica, per usare un termine che in reparto usiamo spesso.
Se penso che con Superman, Ennis, su Hitman, ci vinse un Eisner, a leggere il team up con l'azzurrone nell' ultimo numero di ASS8, viene un magone di quelli da anti depressivi, anche McCrea sembra aver perso il suo smalto.
Il guaio principale è la latitanza della trama. Quello che più infastidisce è realizzare pagina dopo pagina che stai leggendo il nulla.


Eppure sei certo che prima di pagare alla cassa hai letto bene il nome: Ennis.
L'unico momento interessante è la nuova origine di Saldacani.
Ma tutto il resto, dio mio: una via crucis, una gravidanza extrauterina....
È un ulteriore riprova che la serialità ammazza i capolavori, la sezione otto in Hitman, muore combattendo dei demoni provenienti da un tesserato impiantato nel culo di una cavia, in un centro sperimentale oltre la periferia di gotham, e morta doveva restare.
Al massimo Ennis poteva giocare sulla retcon, invece no, evidentemente troppo smazzo all'encefalo.
Quando si dice che una mela non può cadere lontano lontano dall'albero, ricordo davvero poco di buono nato in seno al terribile New52.
Quindi in buona sostanza ALL SATR SECTION 8, è un volume tranquillamente evitabile, siamo dale parti dell'insufficienza  abbondante,  brutto in ogni sua parte, che non fa che rimpiangere
 il Garth Ennis di Hitman.
L'augurio è che torni ai livelli di Preacher, un volume così scadente che mi ha gelato anche l'entusiasmo per il volume edito Panini intitolato Red Rover Charlie.

Insomma non ci siamo proprio.
Risparmiatele ste 14€ o investitele in altro.
Ennesimo fumetto che basa la sua appetibilità sul confezionamento, il passaparola sui social, il nome in copertina, insomma il solito trend che snatura il concetto stesso di lettura.
Oserei dire che come per DKIII (finora), la cosa più invitante sono state le cover.
Baci ai pupi.

sabato 28 maggio 2016

Il Miracleman di Gaiman

Quando Alan Moore tanti anni fa scrisse il finale di Miracle Man, scrisse un epilogo perfetto.
Non saprei davvero dire come i lettori vissero quelle pagine, anni in cui sembrava che i Supereroi non avessero molto altro di nuovo da dire.
Il sogno di un volo poteva indurre nell'errore di avere tra le mani l' ennesimo albo d gente in calzamaglia, ma poi, nel corso dei mesi, pochi mesi, si resero tutti conto, che era un prodotto assolutamente diverso al resto delle pubblicazioni, per approfondire questo discorso, leggete QUI.
L' approccio al genere, la rielaborazione di temi classici della fantascienza come la vita aliena, il ricercato registro lessicale, ogni numero era superiore alla media locale statunitense, tanto che ad un certo punto la Ecplipse lo scrisse in copertina come strillone pubblicitario, che il fumetto conteneva un linguaggio più evoluto e maturo.
Ma in Miracleman, evoluzione è stata la parola chiave.


E' la cerimonia del passaggio da supereroe a superessere, è la storia della presa di coscienza di un individuo creato in vitro, che lentamente realizza la portata del suo potenziale.
Prende coscienza di cosa può fare di concreto per il formicaio in  cui si è risvegliato.
E' Acciaio, in una stanza piena di statue di vetro.

In Olimpo l'autore inglese, si chiese per davvero cosa avrebbe potuto fare Superman per la Terra, che non fosse sventare minacce supercriminali, rapine in banca,  o salvare gattini dagli alberi. 
O altre azioni buone per la lettura di evasione, come impedire che Lois scoprisse la sua identità, vero leitmotiv della cosiddetta Silver Age.


Miracleman cambia la vita sulla Terra, stravolge il modus vivendi dei terrestri, scalza i governi dai loro palazzi, vanifica il sistema economico monetario, impone una nuova utopia e se ne fa custode e gerente dall'alto del suo palazzo fantastico eretto sopra le rovine della Londra devastata dalla follia di Kid Miracleman.
Fedele alle sue idee sulla serialità del fumetto, Moore concepì Olimpo in modo che tutte le trame trovassero una risoluzione, ecco perchè le aspettative per il ciclo seguente, di Gaiman erano un misto di scetticismo e curiosità.

 Scetticismo e curiosità. 

Moore ci ha scosso e rivoltati ben bene durante il suo ciclo revisionista, quando in Italia è arrivato The Golden Age di Gaiman e Buckingham, tutti ci chiedevamo di cosa avrebbe potuto parlare Gaiman, per tenere alta l'appetibilità dei libri precedenti, e per quale motivo questo ciclo fosse altrettanto importante e celebrato dalla critica del settore.

"Rivolete i lupi?"

Ma i dubbi si basavano sulle letture delle storie dell'ultimo Gaiman, un esempio tra tanti, il deludente Sandman Overture, quello della Golden Age Eclipse era la giovane bomba creativa, della british invasion, il Neil Gaiman di Miracleman è lo scrittore degli anni '90, che da un anno sta facendo sognare i lettori americani con il suo Sandman, ed i primi cicli di Sandman sono arte pura.
In quegli anni, si può dire che Gaiman, è una bomba appena sganciata su suolo statunitense, un autore geniale, capace di lasciare il lettori a bocca aperta sia stilando lunghi arc che storie brevi.
Ed è con una storia breve che fa intendere a Moore e a quelli della Eclipse di essere entrato nella giusta sintonia con l'opera del Bardo.
Nella miniserie Total Eclipse, compare la storia breve Screaming (contenuta nel numero 5 dell'edizione Panini del mese scorso), che permette allo scrittore di Sandman, insieme con l'ispirato ed eclettico Buckingham di prendere le redini della serie con il numero #17, con un nuovo libro chiamato appunto The Golden Age.
The golden Age sono una serie di racconti brevi in cui sostanzialmente si descrive l' utopia creata da Miracleman dopo la trageda di Londra.

E' un fumetto di Miracleman senza Miracleman.
E' un fumetto che parla dell'impatto dei prodigi di Miracleman sulla gente.
E' un capolavoro che non ha nulla che invidiare in termini di appetibilità a nessuno, nemmeno all' opera del Bardo (e per dirlo io che sono un talebardo).
Senza spoilerare nulla per quelli che ancora non l'hanno letta, sommmersi dalle pile di arretrati da smaltire, Gaiman attraverso una serie di storie brevi descrive l'impatto dell' arrivo dei superesseri, immaginate come semi, i vari spunti dell'epilogo di Olimpo Moore.
Gaiman li sviluppa perfettamente dando corposità alle idee utopistiche del Mago di Northhampton:
Spy Story, Il Racconto di Winter, la storia dedicata a Gargunza, la chicca del retaggio pseudo nichilistico dei Bates, questo solo per spendere lodi ai testi ed alle storie, senza soffermarsi sulel tavole di Buckingham che adotta diversi stili grafici quale che sia la storia che racconta.
L'augurio è che Gaiman si decida in fretta a scrivere l'epilogo della Silver Age che promette un approccio più classico per il genere in calzamaglia, ipotesi fatta leggendo la storia breve in appendice chiamata Recupero, nella quale Miracleman continua le sue incursioni nel subspazio, quel limbo dove ha dormito per decenni mentre Moran dimenticava il suo alter ego.
E che panini la porti presti in edicola con questo formato.
Forse Miracleman, è l'unica testata della casa emiliana con un apparato redazionale veramente professionale, probabilmente perchè piacevolmente esonerato dai messaggi promozionali d'obbligo nelle testate marvel da battaglia.
Il futuro, quale che sia per il nostro Dio, ci interessa poco, non abbiamo curiosità di vedere in che modo i capoccia marvel inseriranno nel loro scadente universo sempre più povero di idee un capolavoro come Miracleman, quello che ci preme è leggere integralmente l'opera originale, magari (ma qui sognamo ad occhi aperti) anche una ristampa dei volumi chiamati Apocrypha.
Il resto, di quello che la Marvel vuole fare con ciò che ha comprato in tribunale, in tutta onestà ci frega davvero poco.
Baci ai pupi e recuperate Miracleman.

martedì 24 maggio 2016

Il cappotto

Voi conoscete Francesco Paciaroni?
E' un fumettista italiano.
Beh è editorialmente parlando, che è un aspirante fumettista, ma in pratica è un fumettista a tutti gli effetti, uno che dedica al suo sogno, ossia quello di raccontare storie per immagini, tutto il tempo e le energie che può.
Solo per questo merita rispetto.
Forse fumettisticamente parlando si deve ancora evolvere sul lato grafico, ma nemmeno evolvere, magari solo ripulirsi, prendersi più tempo nell'illustrazione, ma anche questo come commento lascia il tempo che trova, magari deve ripulire le tavole secondo me, ma magari ai suoi occhi e agli occhi di gente che già lo segue da parecchio va benissimo così.
Io ho visto alcuni suoi lavori, e posso dire dall'alto della mia ignoranza che graficamente migliora mese depo mese.
Parlo sempre di matite, per quel che concerne i testi invece, scopro che il buon Pacio è già messo bene.
Anche a contenuti non scherza.
Paciaroni è tra i miei contatti facebook, era anche nel gruppo facebook che richiama al blog, ma poi ne è uscito.
Non abbiamo mai chiarito la faccenda, ma credo di conoscere i motivi per cui abbia disertato.
Non deve essere semplice interagire in un contesto in cui l' admin è sempre pronto ad affossare qualsiasi iniziativa italiana.
Perchè in buona pace è quello che faccio io, demolisco a priori il comparto fumettisco italiano, definendolo amatoriale e ovviamente, per amatoriale intendo il contrario di professionale, dico amatoriale ma in realtà sto dicendo, inadeguato, sbagliato, superfluo, inutile.
Con il giusto paio di occhi, che indosso sempre meno, so perfettamente perchè il buon Paciaroni ha lasciato perdere Fumettopenia.
Se fossi qualcuno con un sogno, lo avrei fatto anche io, avrei lasciato perdere, blog e gruppo.
A quale autore emergente serve uno che ti dice che il fumetto italiano è una nauseante discarica a cielo aperto?
Fa strocere il naso, anche agli addetti ai lavori già affermati, pensa uno che vuole arrivare.
Poi oggi in posta mi è arrivato un suo fumetto, del tutto inaspettatamente, mi è arrivata una sua autoproduzione, credo sia la prima da solo, in cui cura sia sceneggiatura che disegni: Il cappotto.
Un' autoproduzione.
Avete idea del coraggio ci vuole per fare un autoproduzione?
A me per esempio manca.
Già anche solo esporre il fianco a stronzi come me....io non lo farei mai.
Te credo che ad un certo punto non ha più sopportato i miei sermoni demolitivi, fossero tutti come me, allora la gente dovrebbe leggere solo Moore e Morrison, fino alla nausea.
Badate bene, per me sarebbe la proverbiale utopia, a patto che l'apprezzaste, ma mi rendo conto che non può essere così.
E quindi mi oggi mi sono letto questa storia breve del buon Francesco Paciaroni, e devo dire che il tizio sa dosare bene gli ingredienti.
Mica è semplice scrivere una storia breve, hai un ridotto numero di pagine e devi spingere il lettore ad appassionarsi ed incuriosirsi, e nel medesimo esiguo numero di tavole devi raccontare una storia, con un inizio ed una fine, possibilmente appetibile.
Bendis in dodici numeri non c'entra manco mezzo di questi obiettivi.
Tanto per non venire meno alla mia fama di cagacazzi.
Il capotto invece fa tutto questo.
Ma non chiedetemi come leggerlo, non vi saprei dire, io ero in giardino che aspettavo due pacchi stamane: Starman Play Press 1-7 e Outcast 1-12 dal Canada (Outcasts della DC, però, Kirkman ve lo lascio a voi lettori del popolino, più che volentieri), e mi ritrovo il postino che mi consegna un piego libri che non aspettavo.
Ma a fine pezzo vi lascerò i contatti che ha messo in terza di copertina, del suo albo autoprodotto, e vi prego di immaginarmi dire il suo albo autoprodotto, come Leonida direbbe: Questa è Sparta.
Con voce maschia, massiccia e aggressiva.
Il Cappotto è una storia amara: il mondo è ridotto ad un bacino di guadagno dei peggiori mali della società contemporanea, incarnati in demoni e mostri dell'iimaginario collettivo, si ritrovano alla riunione di  bilancio annuale.
E qui che si sviluppa la storia, una tenebra nichilista nella quale solo per un attimo balugina  nell' ambiente opprimente, attravwerso la trama di un semplice indumento come un cappotto, che il Paciaroni spoglia delle connotazioni modaiole, e lo riduce ad un capo con la sua funzione originale: scaldare.
Scaldare cosa? Corpo? Anima? Cuore? Fate voi, decidete voi a fine lettura, magari tutte e tre le cose.
Bravo Paciaroni bello schiaffone morale che hai dato ai miei assolutismi, continua così.
Baci ai pupi a tutti gli altri.

Uh....che testa che c'ho, quasi dimenticavo: f.paciaroni@gmail.com
E megliodiunmortoincasa.com

Contattateli e concedetevi un' alternativa a Quando c'era LVI o Supergay.
Anzi poi trovatemi qualcuno, in Italia che in seconda di copertina cita Virginia Woolf.

Ribaci ai pupi.

sabato 7 maggio 2016

Beowulf

Salve ragazzi come va?
Nel gruppo Facebook il Fumettopenia World Cup 2 si sta rivelando una mezza delusione, sembra che tra le letture più meritevoli dal 2000 al 2015 figuri addirittura il Daredevil di B. M. Bendis. Pensa te come sta a pezzi il lettore medio in Italia per confondere una minestra riscaldata, con un piatto di alta cucina.

La premessa era per scusarmi per la latitanza, ma il tempo da dedicare al blog è sempre meno, e le letture sempre troppe. Ho in mente un mega post, anche abbastanza divertente, ma finchè non riparo il portatile che è giù in sala lettura non posso nemmeno cominciarlo: oggi come nel prossimo post, che butterò giù magari nel fine settimana, parleremo di due pubblicazioni della Tunuè, gli stessi signori de Il gioco dell'oca, che ho letto in questi giorni: Beowulf e Cernobil, il primo già presente all'ultimo Comicon napoletano, il secondo credo sia quasi fresco di stampa, due volumi che si sono rivelate delle bellissime scoperte.


Della leggenda di Beowulf, non sapevo praticamente nulla, se non che secoli fa ci fecero un film, ma non l'ho mai visto, quindi mi sono dovuto documentare prima di venire qui in piattaforma ad espormi con voi criticoni: Beowulf è un poema epico di cui non si conosce l'autore, risalente all' VIII secolo, giunto fino ai nostri giorni, nelle pagine del Cotton Vitellius (Codice Nowell) conservato alla British Library.
Il poema narra le gesta del poderoso giovane Beowulf, che giunge sulle coste Danesi per aiutare Re Hrothgar ed ilsuo popolo tormentato da anni dalla piaga di Grendel, un mostro che nel poema non è mai descritto nella sua interezza della sua bestialità, dettaglio di cui David Rubin fa tesoro, visto che arricchisce le tavole con riquadri dei particolari del terribile mostro, per il quale sono più che convinto, si sia ispirato non poco al bestiario di HP Lovecraft.
Senza proseguire oltre nella rivelazione della trama, concentriamoci sulla rivisistazione dei due autori spagnoli.
Rubin piega il tempo nello spazio di una tavola
Il Beowulf di Garcia e Rubin è essenzialmente una esperienza visiva, la cui appetibilità raddoppia quando ti documenti sul poema, riproposto sotto forma di fumetto con una fedeltà che si concede ben pochi slanci di protagonismo, l'aspetto più bello cmq di Beowulf è quello grafico, e non solo stilistico, Rubin è bravissimo anche nella tecnica.
Riesce a far coesistere sulla stessa tavola due differenti timeline, con un risultato narrativo davvero appagante, nelle prime pagine di lettura infatti si assiste contemporaneamente alla nascita ed alla caduta del Cervo (Herot), il palazzo reale voluto da Re Hrothgar come testimonianza della grandezza del suo regno.


Davvero impressionante il lavoro di Rubin, quell' abuso di rosso vi porterà quasi a sentire quel pungente odore ferroso del sangue, l'invisibile telecamera sulla punta della sua matita, non ha limiti, grandi spazi, primi piani, sezioni e dettagli, ogni inquadratura cattura la lettura e la lascia prigioniera delle pagine.
Ma David  Rubin era già noto in casa Fumettopenia, è che in casa fumettopenia purtroppo,  abbiamo poca memoria per i nomi degli autori, tantissime volte non e ne abbiamo nessun rispetto, ma  Dove nessuno può arrivare, lo avevamo letto tanti anni fa, aveva già fatto vibrare un considerevole numero di corde per lasciarci indifferente, se non è esaurito, io vi consiglierei di aggiungere al carrello anche questa tenerissima storia d'amore. Magari mi ringrazierete.

Dubito che l'immaginario di Lovecraft non nabbia contribuito alla creazione di Grendel

La prima lettura durerà pochissimo, ma Beowulf non vi lascerà andare subito: Grendel e sua madre , i carnefici di centinaia si Danesi, vi ammalieranno con le loro mostruose forme, al punto che prima di riporlo via, Beowulf esigerà vari tributi in termini di tempo.
E' la colpa sarà di Rubin, la sua arte da uan sorta di dipendenza, quelle tavole le guarderete e le riguarderete, per saccheggiarle di quanti più possibili segreti, a me è successo esattamente questo.

Un aspetto essenziale per l'appetibilità di un fumetto in questi tempi di piattume inveterato.
Non sono un libraio quindi non mi pronuncio sulla fattura del volume, è un cartonato, ma dubito che tra qualche anno, se lo riaprirò le pagine esploderanno sul tavolo, come un volume Play Press, quindi tutto sommato direi che va bene.
Insomma spostate una somma del Budget mensile per questo volume, prima che cada nel dimenticatoio italiano, mentre ci si gasa sempre pe le solite insipide cose, merita per davvero.
A volte non è affato male guardare anche i cataloghi di quelle casa che non sono continuamente lì a pavoneggiarsi del nulla spinto, su mille social network.
Baci ai pupi.


venerdì 1 aprile 2016

Fumettopenia World Cup le storie

Domani fischio d'inizio per il 2° Campionato Mondiale di Fumettopenia - Le storie. che si svolgerà nel gruppo chiuso Fumettopenia il blog su Facebook. Si voterà per una settimana intera, fino a lunedì 11/4 per scegliere quali tra le 32 storie scelte dovranno passare agli ottavi di finale, a voi il compito di votare le migliori da una selezione di 32 fumetti, pubblicati tra il 2000 ed il 2015.
32 fumetti, 8 gironi che verranno comunicati domani sera.
Le storie in gara cmq eccole qui:
1. The Losers (DC/Vertigo) Diggle Jock AAVV 2003
2. Rughe (Delcourt) Roca 2007
3. Identity Crisis (DC) Meltzer Morales
4. Essex County (Top Shelf) Lemire 2008
5. Uno Zoo d’inverno (Shogakukan) Taniguchi 2008
6. Scalped (Dc/Vertigo) Aaron Guerà Furno 2007
7. Punisher: Born (Marvel Comics) Ennis Robertson 2003
8. Manifest Destiny (Image/Skybound) Dingess Roberts 2013
9. Fables (DC/Vertigo) Willngham Buckingam AAVV 2002
10. Nextwave (Marvel ) Ellis Immonen 2006
11. The Filth (Vertigo) Morrison Weston 2002
12. Gotham Central (DC) Rucka Brubaker Lark 2002
13. The Winter Soldier (Marvel Comics) Brubaker Epting 2005
14. Green Lantern v4 v5 (DC Comics) Johns Reis Mahnke AAVV 2005
15. Blackest Night (Dc Comics) Johns Reis 2009
16. Green Lantern Corps v2 v 3 Tomasi Gleason AAVV 2007
17. Punisher: Barracuda (Marvel Max) Ennis Parlov 2006
18. Bouncer (Glenat) Jodorowsky Boucq 2001
19. Little Nemo return to Slumberland (IDW) Shanower Rodriguez 2014
20. Asterios Polyp (Pantheon Books.) Mazzuchelli 2009
21. Blacksad (Darguard) Diaz Canales Guarnido 2000
22. Santuario (Les Humanoides Associes) Dorison Bec 2001
23. Le Sentinelle (Robert Laffont) Dorison Breccia 2008
24. La nuova frontiera (DC) Darwin Cooke 2003
25. Astonishing X-Men (Marvel comics) Whedon Cassaday 2004
26. New X-men (Marvel Comics) Morrison Quitely AAVV 2001
27. Astro City Vol. 4 Tarnished Angel (Homage) Busiek Andreson 2000
28. Planetes (Kodansha) Yukimura
29. Quattro Dita (Top Shelf) Rich Koslowski 2002
30. Fantastic Four (Marvel Comics) Hickman AAVV 2009
31. Docteur Mystere L’integrale (Alessandro Distr. - Mondadori) Castelli Filippucci 2015
32. Pluto (Shogakukan) Urasawa Tezuka 2003

Baci ai pupi

lunedì 28 marzo 2016

Dawn of Justice: la recensione senza spoiler.


424 mln $ al debutto.
Direi che la linea cinematografica DC è un affare sicuro quanto quella Marvel, ora le tifoserie si spranghino pure.
Baci ai pupi.

venerdì 18 marzo 2016

Il gioco dell'oca

Forse sono esterofilo perchè mi avvicino all' Italia che non sa fare fumetto.
Nick Banana, Dylan Dog, Morgan Lost, Orfani, Battaglia, le Storie e la Dottrina, tanto per citare qualche nome  che mi hanno fatto correre al Comune per rinnovare il passaporto ed evadere dalla provincia italiana della nona arte.

Eppure ultimamente tra una lettura e l'altra mi sono concesso qualche volume italiano, un pò guardingo e scettico. Comunque ho scelto restando, fedele ad una regola: se non ne parlano troppo su facebook, minimo è un capolavoro.
Già un mese fa con Churubusco di Andrea Ferraris, della Coconino Press Fandango, la mia esterofilia ha subito un duro colpo, bravissimo Ferraris, oggi mi sono dovuto ricredere ulteriormente, su come facciamo i fumetti qui in Italia dopo aver letto Il gioco dell'oca di Stefano Munarini e Mauro Ferrero, un bonellide, (ma con un altro tipo di carta),  edito da Tunuè, nella linea Le Ali, da 112 pagine in bicromia, soluzione tanto stilosa quanto poco pubblicizzata.
Se penso agli strilloni che Bonelli ha fatto per tutto quel rosso in Morgan Lost, e Tunuè che fa una cosa analoga con l'azzurrino, non lo menziona manco nel sito, e liquida il tutto con un poco indicativo B/N.

Signor Tunuè corregga subito, che proprio il fumetto di cui sopra, Il Gioco dell'oca, parla di avere fiducia nelle proprie capacità e credere in se stessi.


Ma di che parla Il gioco dell'oca?
Di scorciatoie, di incoscienza anche, di un fallimento, ma anche di una rinascita e, che bello dopo tanto oscuro revisionismo pessimista, leggere un lieto fine.
Dopo tanto Rick Veitch, non è stato affatto male imbattersi in questa leggerissima ed emozionante novella.
Jason è uno di noi, e vive la sua avventura negli anni '90, gli ultimi anni senza Facebook, anni che ora sembrano lontani come il medioevo, anni in cui il fumetto era ancora passione e non una malattia, Jason è un nerd, e fa quello che fanno tutti i nerd, alla fine della lettura di qualcosa di veramente bello, fantastica di essere lui l'autore di quella storia, Jason non si contenta più di essere un lettore, vuole essere un autore, ma vuole saltare qualche tappa, e a Jason, non manca quella incosciente intraprendenza di provare a fingersi qualcun altro, così comincia il suo peregrinaggio nelle fumetterie d' America più sperdute dove fa finta di essere ora questo o quell' autore, e firma albi e rilascia autografi, fino al giorno in cui, scoperto....
Basta, ho già svelato anche troppo di una trama semplice ed appetibile, che lascio a voi il piacere di scoprire pagina dopo pagina, mi limito a dire che l'ho divorato ed ho trovato il tratto di Mauro Ferrero assolutamente affascinante.

Lungi da me esprimere opinioni sul tratto dei disegnatori italiani, gentaccia davvero permalosa, per dare a Lauria del Mignola sono stato letteralmente lapidato sulla pubblica piazza, per esprimere commenti poco lusinghieri su Di Giandomenico o Rincione manca poco mi ritrovassi un esercito di fan inferociti fuori casa, ma a Ferrero, sperando non si incazzi anche lui, non posso non dire che ammirando le sue tavole, (bellissima la bicromia, assolutamente azzeccata, ipnotica quasi, che rende il fumetto di un taglio quasi underground, e che richiama visivamente alla mente un ventaglio di letture di altissimo livello), mi sono tornati in mente una sfilza di autori da quel tratto volutamente minimal eppure coinvolgente, Da Judge alla Satrapi passando per Mazzuchelli e Delisle, la sua mano mi ha letteralmente rapito, minimalista mai caotico, certosino e preciso nelle forme chiaro nelle illustrazioni, insomma perfetto.
Non avrei mai immaginato di divertirmi con una lettura made in italy, e chissà come mai i più bravi sono sempre quelli meno promossi, che bello sarebbe se le vendite premiassero certi stili, tanto da imporre un genere, un trend, nell'anarchico e mediocre palcoscenico italiano.
Invece come dice Moretti in Palombella Rossa, il trend italiano è negativo, e polemico.
Tanto tanto tanto polemico.
Bravo anche Munarini, 100 pagine o giù di li in cui gli eventi scandiscono un ritmo a dir poco coinvolgente, l'incipit che incuriosice, lo sviluppo che appassiona, il finale che appaga, e cosa vuoi di più da un fumetto nato in una nazione di wannabe votati alla più vuota autopromozione sui social?
E quanti applausi meriti per la microstoria del ragazzo che rubava i finali?
Ma tanti fidati! Tantissimi.
Ma bravissimi, e bravissima Tunuè, mea culpa se non sono mai andato oltre Paco Roca, se il catalogo è tutto a questi livelli, è solo per il livello medio basso del lettore, se non siete su ben altre scale sulle gerarchie della notorietà, li dove gli altri confezionano carta stampata in base ad indagini di following e condivisioni, voi avete portato nelle librerie una storia, nella tradizione della editoria classica, sana e ormai quasi del tutto estinta.
Leggete il gioco dell'oca regà.
Statemi a sentire.
Per un volta sostenete quel modo di fare fumetto in Italia che non genera imbarazzo.
Un fumetto che nasce fumetto e resta fumetto, e non si trasmuta alchemicamente in un vecchio pavone on line dalle piume arruffate e sfatte.

E grazie agli autori per questa botta d'ottimismo. C'è vita oltre la shockdom, esiste davvero l'alternativa alla rivoluzione della griglia bonelliana.
Baci ai pupi.

mercoledì 9 marzo 2016

Il mondo di Patlabor

Sono ritornato agli anni 'novanta.
Sono in piena manga fever, alla riscoperta di letture che fondamentalmente, per motivi di budget, ai tempi in cui ero un membro familiare economicamente passivo, dovevo eliminare dalla wishlist... per forza di cose.
Ora, che ringraziando al cielo, sono economicamente un attimino più agiato ed indipendente, posso permettermi atti di compulsione su ebay ed in giro per fumetterie, ultimamente mentre voi vi riempite le mensole di Lemire, io proprio non ci riesco, ho fatto un pò di recuperi, e tra queste sortite che hanno l'equivalente delle spedizioni delle donne nei centri commerciali in periodo di saldi, c'è stato quello di Patlabor di Masami Yuki, una serie pubblicata almeno 10 anni fa se non di più, dalla Star Comics, che interruppi per i motivi di cui sopra e che ho completato nello scorso 2015 con molta calma; e che per via della sua assoluta appetibilità ha inevitabilmente monopolizzato le ore dedicate alla lettura di questi giorni.

I giapponesi lo fanno meglio.


Era il 1988, quando il giovane Masami Yuki decise di scrivere un manga che rivoluzionasse il genere robotico.
Nella saga di Gundam di Y. Tomino del 1979, c'era stata un primo balzo evolutivo nelle trame,  in Gundam infatti, in tutte le sue incarnazioni, avevano reso i robot più realistici, riducendoli a prodotti di serie di una tecnologia umana avanzata.
Al contrario delle elitarie macchine di Go Nagai ed i suoi successori, che restavano pezzi unici, nonostante i nemici non fossero certo pochi, e nonostante ad ogni episodio venivano semi demoliti.
Se in Gundam, il Robot, con il concetto di Mobile Suite, o Mecha diviene un prodotto di serie come puo essere un carro armato, in Patlabor, i Labor sono esoscheletri ideati per i più svariati utilizzi, da quello edile a quello di ordine pubblico. (PatLabor è la fusione di Patrol e Labor, Pattuglia e Labor, termine con cui Yuki indica i Robot costruiti dalle varie corporation adibiti ai lavori più faticosi.)

Per dirla in altre parole, alla fine degli anni '80, Yuki immaginò un mondo in cui il Giappone e non solo, disponesse di una tecnologia capce di ideare macchine antropomorfe guidate da uomini o donne. Ed una corsa di produzione, tra varie corporation degna di un romanzo di fantapolitica.
Patlabor è ambientato nei 5 anni che vanno dal 1998 al 2002, il Giappone di quegli anni è un paese in ripresa economica ed urbanistica.
Come nazione, è sopravvissuto ad un terremoto (1995) e deve fare i conti con una situazione climatica che sta sciogliendo le calotte polari, ed aumentando il livello dei mari, una situazione che provoca la perdita delle sue coste.
Uno dei progetti che viene costantemente citato in Patlabor è il Progetto Babylon, che tra le altre cose si occupa della costruzione di barriere e dighe per la salvaguardia delle coste giapponesi. 

La portata mastodontica di questi lavori, ha indirizzato un altissimo numero di industrie nella ideazione e costruzione di particolari macchine, chiamate appunto Labor, che sostanzialmente sono dei bulldozer antropomorfi capaci di fare lavori più certosini rispetto alle classiche gru.
L'incremento e la produzione di massa di questo tipo di macchine ovviamente, ha finito per agevolare nuovi tipi di crimini, un Labor può essere usato con la stessa facilità, per costruire dighe o rapinare banche, e per questo che alla fine i governi hanno sentito l'esigenza di utilizzare questi mecha anche nelle forze militari e di polizia: Patlabor infatti racconta le avventure di una specifica squadra della questura di Tokio, la seconda squadra di veicoli speciali, che ha in forze due particolari Labor, gli Ingram delle industrie pesanti Shinohara pilotati dalla tenace Noa Izumi e l'irruento Isao Ota.


 
A grandi linee questo è il background di base, di questo divertentissimo manga, che ha la sua forza, secondo me nel riuscitissimo inserimento di macchine fantascientifiche come i Robot, in un contesto, urbano, realistico e routinario come può essere la vita di una squadra di polizia della questura di Tokio.Quello che più mi piace di questo manga è lo sviluppo della trama, Yuki, non si limita ad una sequenza di botte tra robot, al contrario, sulla nascita di questa macchina, costruisce trame dalle tematiche più vaste, dallo spionaggio industriale, l'ingegneria genetica, la condizione operaia, ho trovato di una incredibile appetibilità la storia dello sciopero degli operai piloti di labor, tessendo il tutto con fili di ironia tipica del sol levante, una zona in cui il fumetto è sempre stato una forma d'arte che rappresentava la cultura gli usi ed i costumi nazionali, condizione narrativa che traspare nella caratterizzazione dei personaggi, del loro modus vivendi e del loro rapporto con il prossimo ed il loro lavoro.




Decostruzionismo Robotizzato. 

Parliamo sempre del decostruzionismo delle calzamaglie, ma del decostruzionismo del genere dei super-robot, non ne parla nessuno?
oltre la saga del Gundam di Tomino, un altro autore che aveva accennatom ad una rivoluzione del genere, fu Hajime Yatate che un anno dopo, nel 1980, nel suo Trider G7, accennò per la prima volta all'originale soluzione narrativa che introduceva il concetto di costi di gestione di un Super Robot.
Indimenticabili i sipartietti in cui Watta Takeo, l'immancabile adolescente pilota, era ripreso dal vicepresidente della compagnia, Kakikoji, che si lagnava delle spese sostenute durante le missioni, carburanti, missili, usura, danni, un vero e proprio commercialista che non mancava mai in nessun epusodio dell'anime.
Yuki come detto, inserisce i Mecha, nel contesto routinario della vita di Tokio, in una maniera che finiscono per diventare un normalissimo aspetto della vita del suo mondo.
Nelle storie di Patlabor ci sono elementi che indirizzano le trame verso i più svariati temi, alcuni, posso assicurare, di una appetibilità indiscutibile, come le proteste sindacali degli operai, preoccupati che le multinazionali sviluppino un sistema operativo che li tagli fuori dalla cabina di pilotaggio, e renda i labor autonomi ed indipendenti dall' uomo, con i tagli sulla spesa della manodopera umana.
Il lungo arc che vede i labor della seconda squadra scontrarsi con un esperimento genetico, sfuggito ai loro creatori, la lunga trama che vede protagonista la Shaft, una multinazionale con pochi scrupoli, che ricorda tantissimo, per la carenza etica, la Roxxon Marvel o la Lexcorp della DC, il cui capuficcio della sezione 7, Utsumi, sembra non avere alcuno scrupolo per reggiungere i suoi scopi.
Ma non mi basterebbero un paio di giorni per descrivervi il mondo ideato da Yuki, che è il caso di ricordare che ha creato Patlabor agli inizi della sua carriera di mangaka. 
Non male cominciare con una serie il cui titolo è divenuto poi un marchio con varie produzioni, dai cartoni animati ai videogiochi passando per giocattoli e gadget vari.
Anche le varie parentesi, immancabili, di guerriglia urbana a suon di robo-sberle, coinvolgono il lettore, grazie anche alla perfetta caratterizzazione dei personaggi, difficile non innamorarsi, in corso di lettura, di Uozumi o di Ota o del loro team di supporto, come il trasandato Goto, caposezione che nasconde doti intuitive che farebbero invidia all'ispettore Dupin.
Insomma Patlabor è del 1988, letto oggi, è comunque avanti anni luce alla produzione italiana, c'è un approccio al media, nonchè una gestione dello stesso, che semplicemente da noi, se non è estinta, latita da decenni, nulla di strano se ad un certo punto della vita editoriale del fumetto in Italia, calzamaglie e bonellidi si videro superare in termini di vendita dai manga, a fine anni '80.
Se amate i mecha e la fantapolitica, Patlabor è il fumetto che fa per voi, gli appassionati di fumetti nipponici possono andare tranquilli, come accennato più in alto pur nella sua originalità, il manga di Yuki, conserva tutti i canoni classici della narrativa illustrata giapponese, amore per la cultura nazionale per i costumi e gli usi, riportati su carta, con una naturalezza disarmante, che arricchisce la lettura e che fa la differenza, con la monotona mediocrità di alcuni interminabili seriali. 
Graficamente Masami Yuki è bravissimo, capace di ideare tavole di tensione con la stessa padronanza di disegnare tavole più scanzonate e comiche, il suo design dei mecha è una gioia per gli occhi, il dinamismo delle sue illustrazioni non ha nulla a che invidiare ai suoi colleghi mangaka da sempre, è il caso di ammetterlo, secoli avanti nella illustrazione più dinamica.
Senza spoilerarvi un solo tankobon, ho parlato anche troppo per i miei, mi sento di consigliarvi il recupero di questi 22 albetti editi da star comics alla fne degli anni'90, che sicuramente insieme a Ghost in the shell del maestro Shirow, rappresentano una tappa fondamentale nello sviluppo di quel tipo di narrativa.
spero di avervi attaccato la scimmia per Patlabor.
Nel frattempo, mentre attacco con 2001 Nights e dopo con Appleseed, non mi resta che augurarvi:
baci ai pupi.